di Alessia Truzzolillo
CATANZARO La vicenda sull’incandidabilità non è chiusa. La Procura generale di Catanzaro chiede un nuovo processo davanti alla Corte d’Appello. È stato, infatti, presentato ricorso per Cassazione rispetto alla sentenza con la quale la Corte d’Appello di Catanzaro aveva dichiarato improcedibile il reclamo proposto dalla Procura di Lamezia Terme avverso la sentenza di primo grado del Tribunale di Lamezia che rigettava l’incandidabilità dell’ex sindaco Paolo Mascaro, attualmente in ballottaggio per la poltrona di primo cittadino. Questo ricorso presentato davanti alla Suprema Corte si riferisce non alla sentenza numero 50/2019 pronunciata lo scorso 6 novembre con la quale si è rigettata l’incandidabilità di Mascaro proposta dal ministero dell’Interno, ma si riferisce alla sentenza numero 51/2019 con la quale è stato dichiarato improcedibile il reclamo presentato dalla Procura di Lamezia Terme.
La questione si gioca sulle scadenze entro le quali doveva essere presentato il reclamo.
Il 21 gennaio 2019 la Corte d’Appello, sul presupposto che i provvedimenti presidenziali di fissazione dell’udienza di comparizione delle parti fossero incompleti perché mancanti del termine entro il quale procedere alle notifiche, fissava tale termine al 15 febbraio 2019 per la notificazione del ricorso presentato dal Procuratore di Lamezia Terme. Questa ordinanza della Corte veniva letta in udienza davanti all’Avvocatura e al pg. Il pm del Tribunale di Lamezia, non essendo venuto tempestivamente a conoscenza di questa ordinanza, depositava un’istanza il 7 marzo 2019 e chiedeva di essere riammesso nei termini per procedere alla notifiche. Con una ordinanza la Corte concedeva termine fino al 20 settembre 2019 e il pm provvedeva nei termini. All’udienza del 21 ottobre scorso Mascaro ha presentato eccezione e con la sentenza 51/2019 la Corte d’Appello ha dichiarato improcedibile il reclamo proposto dalla Procura di Lamezia Terme.
Su questa sentenza ha tempestivamente presentato ricorso la Procura generale di Catanzaro chiedendo che la sentenza venga annullata «con ogni conseguente statuizione», ovvero con un eventuale ritorno in Appello davanti a un nuovo collegio di giudici.
Secondo i ricorrenti – che si rifanno alla Suprema Corte e alla Corte europea dei diritti dell’uomo – «vanno evitate limitazioni all’accesso alla tutela giurisdizionale che non siano rigorosamente disciplinate e che, pertanto, il principio costituzionale della ragionevole durata del processo non può condurre ad interpretazioni eccessivamente formalistiche delle disposizioni processuali, che comportino addirittura l’applicazione di una sanzione non prevista dalla legge, né può prevalere su qualsivoglia altro aspetto del giusto processo, tanto più quando, come nel caso di specie, si tratta di salvaguardare beni primari dell’intera collettività nazionale (sicurezza pubblica, trasparenza, imparzialità dell’azione amministrativa, buon andamento delle amministrazioni comunali, regolare funzionamento dei servizi loro affidati, capaci di alimentare la “credibilità” delle amministrazioni locali presso il pubblico ed il rapporto di fiducia dei cittadini verso le istituzioni)». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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