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Sull'Aspromonte una delle querce più vecchie del pianeta

La scoperta è stata effettuata nell’ambito di una ricerca finalizzate all’ampliamento del sito Unesco. L’arbusto è alto quasi due metri e si ritiene abbia un’età che superi i 560 anni

Pubblicato il: 13/11/2019 – 12:25
Sull'Aspromonte una delle querce più vecchie del pianeta

REGGIO CALABRIA Una Quercia di oltre 560 anni, tra le cinque più vecchie del Pianeta o forse addirittura la più vecchia in assoluto, sorge nella faggeta vetusta di Valle Infernale nel Parco Nazionale dell’Aspromonte. La scoperta è stata effettuata nell’ambito delle ricerche congiunte tra Ente Parco, Carabinieri Forestali e Università della Tuscia, finalizzate all’ampliamento del sito Unesco “Ancient and Primeval Beech Forests of the Carpathians and Other Regions of Europe”, che tutela aree forestali europee strategiche per la conservazione di questo patrimonio mondiale. Il team di ricerca, coordinato dal professore Gianluca Piovesan (Università della Tuscia, Dafne), ha rinvenuto alcune roveri monumentali all’interno della faggeta vetusta di Valle Infernale, gestita dal Raggruppamento Carabinieri Biodiversità (Foresta Demaniale dell’Alto Aspromonte). Una di queste querce, di quasi due metri di diametro, ha rivelato un’età di oltre 560 anni: si tratta, come spesso accade negli alberi monumentali, di un esemplare con il fusto cariato, per cui la datazione, effettuata da Lucio Calcagnile e Gianluca Quarta del Cedad (Centro di Fisica Applicata. Datazione e Diagnostica dell’Università del Salento) con il metodo del radiocarbonio, è stata possibile solo grazie ad una piccola porzione di legno parzialmente conservato all’interno del fusto cavo. Questa maestosa rovere dell’Aspromonte diviene a questo punto una delle querce datate con metodo scientifico più vecchie al mondo: un nuovo preziosissimo elemento di biodiversità per il Parco Nazionale.
Siamo davanti a un cosiddetto “albero-habitat” che, insieme a tanti altri presenti nella foresta Ferraina, permette la vita di un gran numero di specie vegetali e animali, molte delle quali rare proprio perché legate agli ambienti forestali ad alta naturalità, dove gli alberi seguono un ciclo naturale dalla nascita fino alla morte. Proprio il legno morto, degradandosi, arricchisce infatti il suolo di sostanza organica, incrementandone la fertilità e l’efficienza ecosistemica. La foresta demaniale dell’Alto Aspromonte, grazie alla lunga opera di tutela operata dal Corpo forestale prima e dai Carabinieri Forestali oggi, rappresenta un caso di studio di eccellenza nella conservazione della natura, tanto che questo esempio sarà divulgato nell’ambito del progetto Italian Mountain Lab.
Il Direttore del Parco Sergio Tralongo evidenzia il ruolo della ricerca sul territorio delle Aree Protette: «Tra i tanti compiti che un Parco Nazionale è chiamato a svolgere, non si può trascurare l’indagine scientifica, che è alla base di qualsiasi politica di conservazione dell’ambiente. Gli studiosi che stanno lavorando sull’Aspromonte, in questo caso i docenti dell’Università della Tuscia, continuano a svelarci un patrimonio straordinario, finora quasi sconosciuto. La collaborazione con il mondo accademico è per noi fondamentale, per accrescere le nostre conoscenze, ma anche per favorire il legame del Parco con il suo territorio e la crescita professionale dei laureati nel settore». «Questa ulteriore scoperta certifica l’elevato livello di biodiversità esistente nel Parco dell’Aspromonte ed aggiunge, al nostro patrimonio naturalistico, un nuovo e prestigioso elemento di caratterizzazione scientifica. Questa notizia di valenza internazionale deve ulteriormente spronarci a proseguire nelle attività di tutela e salvaguardia dell’Area Protetta, programmando percorsi di valorizzazione territoriale che inglobino le peculiarità naturalistica, storica, culturale, grazie a cui il Parco dell’Aspromonte può offrire agli appassionati, agli studiosi ed anche ai turisti visita di qualità» ha spiegato il Vice Presidente del Parco, Domenico Creazzo. «Il Parco dell’Aspromonte è ancora in prima linea nello studio e nella valorizzazione del suo patrimonio forestale. – conclude il responsabile del Servizio Biodiversità Antonino Siclari – Pensare a querce di seicento anni, un’età più che ragguardevole per questi alberi, decisamente meno longevi rispetto alle conifere, è entusiasmante e ci ricorda il valore scientifico e culturale della nostra montagna, che custodisce segreti di enorme importanza. A noi il ruolo di scoprirli e di tutelarli, anche per le generazioni future».

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