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Latitanza “coperta” di Matacena, il legale di Scajola: «È innocente»

Arringa difensiva nel processo a Reggio contro l’ex ministro accusato di aver consentito la fuga dell’ex parlamentare di Forza Italia: «La sua unica colpa è stata quella di essersi infatuato di Chi…

Pubblicato il: 18/11/2019 – 21:59
Latitanza “coperta” di Matacena, il legale di Scajola: «È innocente»

di Alessia Candito
REGGIO CALABRIA «Forse preferivo la sua requisitoria, lo sa?». In un momento di pausa nel corso delle due lunghe udienze che l’avvocato Elisabetta Busuito ha impegnato per la sua arringa, Claudio Scajola così si rivolge al procuratore aggiunto Lombardo. E dire che il magistrato non è stato per nulla tenero nei confronti dell’attuale sindaco di Imperia, per il quale ha chiesto una condanna a 4 anni e 6 mesi di reclusione perché colpevole di aver messo il proprio patrimonio di contatti “al servizio” della latitanza di Matacena. Quell’accusa per l’avvocato Busuito è insussistente, frutto di un impianto accusatorio costruito male e ignorando – magari ad arte, lascia intendere – parte delle prove e in particolare delle conversazioni intercettate, spesso piegate – sostiene – ad una tesi precostituita. Per questo ha chiesto per il suo assistito «l’assoluzione per non aver commesso il fatto o in subordine con qualunque altra formula il Tribunale ritenga».
Ma per dimostrare che il suo assistito nulla ha a che fare con la latitanza di Matacena e l’unica colpa di cui si sia macchiato è di aver perso la testa per la bionda moglie del politico latitante – che per di più, racconta intercettazione dopo intercettazione, stava con un altro – di certo non ne fa un ritratto troppo edificante. Dopo due giorni di arringa, quintali di conversazioni lette riga per riga e persino una lettera d’amore letta in aula, l’ex ministro dell’Interno nei giorni di Genova, “signore” dell’Industria e delle Attività produttive, ne viene fuori come un adolescente innamorato e bistratto.
Una “preda” della bionda lady Matacena che lo ha usato per mesi, per poi posarlo quando all’orizzonte si affaccia un uomo ben più ricco e potente. E di certo non ne esce bene Chiara Rizzo, raccontata nei capricci, nelle rispostacce, nelle bugie e nei sotterfugi. Quasi incredibile appare il ritratto che ne viene fuori di Scajola, se si pensa all’uomo forte di Forza Italia di qualche tempo fa. Un modo per creare un rapporto di umana solidarietà nei confronti di Scajola? O la base necessaria per appoggiare la principale tesi difensiva? «Tutto ruota attorno al sentimento che Scajola provava per Chiara Rizzo e la loro relazione», ripete l’avvocato Busuito all’inizio e alla fine della sua arringa.
Per la pubblica accusa, non è una scriminante o una giustificazione, tanto meno rileva perché l’oggetto del processo è il tentativo di garantire una latitanza dorata a Matacena in Libano e Scajola – ha sostenuto con forza e convinzione il procuratore Giuseppe Lombardo – si è adoperato per questo. Non concordano – come del resto è anche ovvio che sia – i legali dell’ex ministro.
Quei tentativi – spiega nella seconda parte della sua arringa – non avrebbero portato a nulla di concreto, tanto meno credibile era il principale interlocutore dell’epoca, Vincenzo Speziali, nipote acquisito dell’ex presidente della Repubblica Libanese, Amin Gemayel. Un terminale fondamentale per le latitanze di Dell’Utri e Matacena, sostiene l’accusa, «un millantatore, un cretino, un minus habens, il termine migliore è rompiscatole» per l’avvocato Busuito, che ci ha tenuto a richiamare gli epiteti con cui è stato bollato da alcuni testimoni.
Nonostante le innumerevoli conversazioni, appuntamenti e incontri documentati con Scajola, anche il suo cliente – afferma – in fondo non gli avrebbe mai dato credito, nonostante lo abbia sentito fino a qualche giorno prima del suo arresto. E poco importa – sostiene – che Speziali abbia patteggiato un anno di pena per aver progettato la latitanza di Matacena in concorso con Scajola perché «non può essere considerata un’ammissione di colpa, questo è quel che commentano le signore guardando la tv».
Tanto meno – sostiene – a suo modo di vedere c’è prova che sia effettivamente di Gemayel quel fax arrivato all’ufficio di Scajola, con cui si assicurava e prometteva piena libertà e operatività in Libano. Toni garbati, commenti e allusioni, pungenti, dopo due giorni di udienza l’avvocato termina la sua requisitoria. Lunedì prossimo, toccherà ai suoi colleghi Perrone e Morello terminare di illustrare le argomentazioni difensive dell’ex ministro. Per la sentenza invece, bisognerà attendere almeno gennaio. (a.candito@corrierecal.it)

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