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Parla Loiero: «Terrorismo contro Rubbettino. Mi sono mosso perché mi ha chiamato Prodi»

Intervista all’ex governatore dopo che l’editore (da lui caldeggiato) ha rinunciato a candidarsi alle Regionali. La risposta ai detrattori e l’avvertimento al Pd: «È già tardi, il conflitto infinit…

Pubblicato il: 18/11/2019 – 11:13
Parla Loiero: «Terrorismo contro Rubbettino. Mi sono mosso perché mi ha chiamato Prodi»

di Antonio Cantisani
La rinuncia di Florindo Rubbettino, contro il quale «finanche alcuni media che hanno rapporti noti col potere hanno fatto terrorismo». La replica ai detrattori per il suo sostegno alla candidatura dell’editore: «Mi sono mosso perché mi ha cercato un Prodi preoccupato per quello che avveniva in Calabria, e sembro uno da riesumare?». L’invito al Pd a «non tirare per le lunghe la questione Oliverio, è già troppo tardi. O si costruisce un compromesso alto che vedo difficile dopo le parole dette sulla magistratura, o si usa la mano dura». Agazio Loiero, già ministro e presidente della Regione Calabria, si concede senza “rete” al Corriere della Calabria in questa tormentata e delicata fase politica.
Non si era mai registrata tanta incertezza e tanta confusione in vista di un’elezione regionale in Calabria: questo da cosa può essere dipeso?
«Sì, una condizione di confusione come mai si era vista in passato, con tanti candidati presidenti. Eppure le condizioni della Calabria sono diventate di gran lunga le più difficili di questi ultimi decenni come tutte, dico tutte, le classifiche del disagio attestano attraverso numeri impietosi e i sondaggi confermano. Di fronte a tale scenario i politici dovrebbero parlare solo di questo e magari atterriti fare un passo indietro. Invece fanno un passo avanti. In questa generosità inaspettata c’è qualcosa che sul piano della logica non quadra. Le risparmio la litania delle singole voci di queste tristi graduatorie che ci vedono sempre ultimi e mi soffermo solo sullo sfascio della sanità. Commissariata da dieci anni».
Ma la colpa è davvero del governo nazionale che tiene in vita il commissariamento?
«Certo, ma quel conflitto permanente tra commissario e Regione, sullo sfondo di un territorio in agonia, non è da attribuire al primo ma alla seconda che non ha saputo in tanti anni risolvere un nodo che era politico, come hanno fatto tutte le altre regioni, a cominciare dalla Campania. Si tenga conto che i governi nazionali, tranne l’anno che va dal giugno 2018 all’agosto 2019, sono sempre stati dello stesso colore politico di quello della nostra regione. Anche io, se posso fare un riferimento personale, ho avuto un aspro conflitto nel 2009 in Consiglio dei ministri con il governo Berlusconi che voleva nominare un commissario diverso dal sottoscritto, ma io mi sono opposto, con la sola alleanza di Vasco Errani, all’epoca presidente della conferenza della Regioni, con tutte le mie forze all’idea stessa del commissario. Sia che la scelta ricadesse su uno esterno, sia che ricadesse su di me. Con il commissariamento, come molti corregionali non sanno, scattano automaticamente le aliquote fiscali più alte, che noi calabresi paghiamo da dieci anni».
Il Pd ha scelto la strada di un profilo civico per il candidato governatore, profilo che rispondeva al nome dell’editore Florindo Rubbettino che lei, in tempi non sospetti, aveva molto “caldeggiato”. Ma Rubbettino ha declinato con motivazioni francamente impietose nei confronti di un Pd e un centrosinistra incapaci di essere uniti. Non la ritiene che il Pd abbia segnato una delle sue pagine più buie in Calabria dividendosi su una figura così autorevole?
«Rubbettino ha un profilo civico, è un imprenditore di successo che dispensa cultura e che concorre a infrangere tutti gli stereotipi che s’addensano pesantemente sulla nostra regione. La figura doveva, almeno sulla carta, essere gradita a tutti. Invece non è andata così. Finanche alcuni media che hanno rapporti noti col potere hanno fatto terrorismo».
Il suo contributo a lanciare la proposta Rubbettino aveva suscitato forti polemiche, soprattutto all’interno dello stesso Pd: alcuni dirigenti hanno detto che con questa operazione era stato “riesumato” Loiero. Vuole replicare?
«Sì, hanno usato un verbo incongruo ma il compianto grande linguista Tullio De Mauro, mio collega di governo, con il quale avevo un rapporto di amicizia non comune – uno dei ricordi umanamente e culturalmente più preziosi della mia esperienza di governo – mi disse una volta che il 50 per cento degli italiani non conosce fino in fondo il significato delle parole che pronuncia. E poi la politica non si fa solo avendo un ruolo istituzionale o di partito. In questo caso mi sono mosso perché mi ha cercato un Prodi preoccupato per quello che avveniva in Calabria. Senza dimenticare che io sono l’unico calabrese che ha fatto parte dei 45 fondatori del Pd. D’altra parte la mia è una vita politicamente attiva. Sono di tanto in tanto invitato a convegni, scrivo spesso di politica. Le sembro uno da riesumare?».
A suo giudizio, a questo punto cosa dovrebbe fare il Pd?
«Non tirare per le lunghe la questione Oliverio. È già troppo tardi. O si costruisce un compromesso alto che vedo difficile dopo le parole dette sulla magistratura, o si usa la mano dura. I danni che si stanno infliggendo al centrosinistra, con questo conflitto infinito, sono immensi. Cosa devono pensare quei sindaci, quei militanti che in questi anni, malgrado abbiamo perso tutte le città calabresi, hanno continuato a battersi per tenere alta la bandiera lacerata del Pd? Siamo sicuri che meritino questo finale malinconico, senza precedenti nella storia dei partiti?»
Il governatore uscente Mario Oliverio sembra deciso a ricandidarsi. Anche lei, nel 2010, da governatore uscente si ricandidò nonostante un clima in Calabria non propizio e nonostante l’implacabilità della “legge dell’alternanza” a livello regionale: si sente di dare un consiglio a Oliverio alla luce della sua esperienza?
«Oliverio non ha bisogno dei miei consigli. Premesso che la mia situazione del 2010 – inutile ripeterlo, l’ho raccontata nel dettaglio di recente – era del tutto diversa, voglio solo ricordare al presidente un episodio. Anzi due. All’inizio dell’estate lui ha detto che comunque fossero andate le cose nel conflitto, allora appena agli inizi, con il Pd, mai avrebbe chiuso la carriera formando un partitino. L’allusione era evidentemente a me che nel 2009, ne avevo, insieme ai miei amici della provincia di Cosenza, formato uno per rafforzare la coalizione di centrosinistra. La cosa buffa però è che a chiedermi di formare a tale fine un partitino fu proprio Oliverio, il quale temeva il suo avversario del tempo alla Provincia, che era Pino Gentile, un uomo forte nell’area urbana di Cosenza-Rende. Non voglio farla lunga, per non annoiare la gente. Il partitino si chiamò “Autonomia e diritti” che riuscì a conseguire un risultato strepitoso: 4 consiglieri provinciali che permisero a Oliverio di non perdere le elezioni, di diventare presidente della Provincia e grazie a questo ruolo istituzionale, candidarsi, dopo 5 anni, presidente della Regione».
E che consiglio si sente di dare al Movimento 5 Stelle, alle prese con una tendenza quasi “nichilista” in Calabria? Non ritiene un grave errore non provare ad allearsi con il Pd?
«La moda del momento è attaccare il M5S. E io non seguo quasi mai la moda del tempo, passiamo all’altra domanda».
Eccola: cosa può accadere in Calabria con la vittoria del centrodestra e soprattutto di un centrodestra a forte trazione sovranista, con la Lega che sembra in forte crescita?
«Con Salvini e la sua autonomia differenziata si verificherà per la nostra regione quella previsione inventata da Leonardo Sciascia per l’Italia di qualche decennio fa. Lui diceva: “Andremo sempre in fondo senza mai toccare il fondo”. Nella vita è la condizione peggiore perché annienta la speranza. La previsione dello scrittore siciliano per fortuna all’epoca non si realizzò ma temo che, se Salvini vince le elezioni regionali, si verificherà per la Calabria d’oggi».
Su vari papabili candidati a governatore incombono alcune inchieste giudiziarie, utilizzate anche all’interno dei partiti come autentici veti: secondo lei questa impostazione è giusta o segna la definitiva sconfitta della politica?
«Le vicende giudiziarie vanno secondo me osservate caso per caso. Lei è un cronista di lungo corso e ricorderà che anni fa alcune inchieste di un sostituto procuratore della Repubblica di Catanzaro non si capiva mai se erano finalizzate a perseguire un reato o erano utili a garantire una ribalta da sfruttare successivamente in funzione politica. O, meglio, si capiva. Adesso alla Procura di Catanzaro il clima è del tutto diverso, anche se bisogna sempre attendere la decisione di un giudice terzo per pronunciarsi su un’inchiesta».
Un’ultima domanda, non sulla politica ma sulla scrittura, visto che lei prima ha ricordato di scrivere spesso: è vero che le stanno per attribuire un premio importante?
«Sì, il prossimo 2 dicembre alle 17,30 presso il centro studi americano di via Michelangelo Caetani a Roma mi assegnano il primo premio Socrate per la scrittura. Un riconoscimento inaspettato. Pensi che fino a oggi non ne avevo mai ricevuto uno, neanche per sbaglio. Eppure in Calabria se ne distribuiscono tanti. Mi sono sempre consolato con la frase di Leo Longanesi che diceva che “In Italia i premi non basta rifiutarli, bisogna non meritarli”. Adesso che me ne offrono uno, non avendo, per la mia umana debolezza, il coraggio di rifiutarlo, ho finto con me stesso e mi sono dimenticato di Longanesi». (redazione@corrierecal.it)

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