di Alessia Candito
REGGIO CALABRIA Quello che avevano imposto era un vero e proprio monopolio, di zona e di settore. Nessuno poteva aprire sale Bingo in città e nessuno si doveva permettere di mettere un mattone ad Archi e non solo senza il permesso del clan Tegano-De Stefano. Per questo, mesi fa gli imprenditori Andrea Francesco Giordano 68 anni, Michele Surace 62 anni, Giuseppe Surace 35 anni e Carmelo Ficara, 63 anni, sono stati arrestati da carabinieri e Guardia di Finanza e per questo adesso il loro intero patrimonio è finito sotto sequestro.
UN COLPO DOLOROSO «La forma di aggressione dei patrimoni è uno strumento fondamentale della lotta alla criminalità organizzata. Crediamo che sia questa la strada per un contrasto efficace alla ‘ndrangheta», dice il procuratore capo, Giovanni Bombardieri. Di certo, il sequestro di beni per oltre 200milioni, eseguito oggi all’esito degli approfondimenti di Dia, Carabinieri e Finanza, è un colpo duro per i clan. Sotto sigilli sono finite 20 aziende edili, incluse quote sociali e patrimonio aziendale da 172 immobili e 9 veicoli, quote societarie relative a 10 imprese, 284 tra fabbricati e terreni, 4 veicoli, nonché disponibilità finanziarie e rapporti bancari e assicurativi. Ma il sequestro eseguito oggi è soprattutto un attacco ad un modello criminale di imprenditore e di impresa. «Da quest’indagine – commenta il procuratore aggiunto Gaetano Paci – emerge un modello di imprenditore associato-mafioso che riesce a imporsi grazie alla ‘ndrangheta. Sono le cosche che consentino l’egemonia sul territorio il modello di riferimento che emerge da questa indagine». Un modello che però alla lunga non paga.
DIVERSI CAMMINI, IDENTICA FUNZIONE Signori di veri e propri imperi del mattone, nascosti dietro diverse società intestate a prestanome, Giordano, i Surace e Ficara hanno scelto cammini imprenditoriali diversi. Nato muratore e improvvisamente diventato palazzinaro, Ficara ha continuato ad inondare di cemento interi quartieri della città. Per Giordano e i Surace, considerati in tutto e per tutto organici ai clan, come testimoniato da diversi pentiti, l’edilizia è stato solo uno dei settori di interesse. Nati con la gigantesca speculazione edilizia del complesso Mary Park, all’interno del quale si erano premurati di riservare un appartamento al fratello del boss, Peppe Tegano – si sono specializzati nell’accumulazione e riciclaggio di denaro, tutto ripulito grazie ad un’impensabile lavatrice, la sala bingo della città.
IL SISTEMA BINGO Un’attività gestita in regime di monopolio a Reggio Calabria e che tale doveva rimanere, come ha scoperto a proprie spese un imprenditore della Piana di Gioia Tauro costretto ad abbandonare il progetto di apertura di una nuova sala Bingo a causa delle minacce ricevute. Del resto, quell’attività per i Tegano era la lavatrice perfetta per rendere spendibili enormi quantità di liquidità, destinate a diventare cemento e mattone. E che fosse di interesse strategico per il clan – era emerso già dalle indagini – lo hanno dimostrato le innumerevoli occasioni in cui gli imprenditori sono stati pizzicati a relazionare sullo stato di salute delle attività a Giovanni Tegano.
CEMENTO PER TUTTI Anche Ficara ha costruito il suo impero sull’edilizia, prima nella zona Sud della città, quindi – su concessione dei De Stefano – anche ad Archi. Fiumi di cemento divenuti palazzoni tutti uguali a se stessi a prescindere dal quartiere in cui venivano edificati e tutti funzionali ad ingrassare i clan. Tutti i clan, secondo il “galateo imprenditoriale di ‘ndrangheta” stabilito con l’istituzione del direttorio e del nuovo sistema di spartizione degli appalti, definito dopo la seconda guerra di ‘ndrangheta. Rivoli del fiume di denaro generato dalle speculazioni edilizie sono finiti ai Latella, Libri ed i Labate.
LA SFIDA «Abbiamo sequestrato circa 400 immobili sparsi in tutta la città di Reggio Calabria – riassume il procuratore capo Giovanni Bombardieri – adesso bisogna rendere questi sequestri non fine a se stessi, dunque fare un salto di qualità nella gestione dei beni sottratti alla criminalità organizzata. La sfida è di mantenere gli esercizi commerciali aperti, in modo che non si possa dire che le aziende restano aperte con la ‘ndrangheta e chiudono con lo Stato». Un refrain fin troppo comune a Reggio Calabria e che troppo spesso fa il paio con le campagne contro le interdittive per mafia che più di un esponente di associazioni di categoria porta periodicamente avanti. (a.candito@corrierecal.it)
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