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«Non ci sono prove di un accordo tra Girasole e gli Arena». Per questo la sindaca è stata assolta

Depositate le motivazioni della sentenza di secondo grado. I giudici contestano l’interpretazione delle intercettazioni dei membri del clan su cui si poggiava l’accusa. «Si parla di appoggio eletto…

Pubblicato il: 23/11/2019 – 7:17
«Non ci sono prove di un accordo tra Girasole e gli Arena». Per questo la sindaca è stata assolta

di Alessia Truzzolillo
CATANZARO
«Gli Arena si sarebbero potuti determinare autonomamente al voto per il sindaco Girasole». Dalle prove e intercettazioni raccolte nel 2010 e dalle elezioni che erano avvenute nel 2008 manca la dimostrazione che sin dal 2008 ci fosse stato un accordo preciso tra la cosca e l’ex sindaco Carolina Girasole.
«In definitiva, se è indiscutibile che nelle intercettazioni ritenute di rilievo si parli di appoggio elettorale e di interessamento della famiglia Arena alla Girasole, non si fa riferimento ad alcuna specifica condotta che possa essere correlabile alla fattispecie oggetto di contestazione». E infine, «la mera ricerca di voti anche in ambienti mafiosi, non è al momento, illecita se non accompagnata dalla promessa di un corrispettivo (un pactum sceleris)». Queste e altre le ragioni addotte dai giudici della Corte d’Appello di Catanzaro – Giancarlo Bianchi presidente, Francesca Garofalo e Adriana Pezzo consiglieri – che motivano l’infondatezza dell’accusa secondo la quale tra la famiglia Arena di Isola Capo Rizzuto e l’allora candidata a sindaco Carolina Girasole vi sia stato un accordo per portare voti al futuro primo cittadino.
Ma procediamo con ordine.
LA SENTENZA Lo scorso 27 maggio è stata confermata anche in appello la sentenza di primo grado del processo “Insula” che vede coinvolti l’ex sindaco di Isola Capo Rizzuto, Carolina Girasole e il marito Francesco Pugliese, assolti dall’accusa di turbativa d’asta e voto di scambio politico mafioso. Assolti anche l’ex assessore Domenico Battigaglia e il dirigente comunale Antonio Calabretta, accusati di turbativa d’asta e abuso d’ufficio. Sempre dal reato di turbativa d’asta e abuso d’ufficio sono stati assolti Francesco Pugliese, Pasquale Arena e Nicola Lentini. Cade l’associazione mafiosa, anche in secondo grado, per Nicola Arena, classe 37, Massimo Arena, Pasquale Arena e Francesco Ponissa. Per quest’ultimo resta la condanna a quattro anni di reclusione per estorsione. Confermata la condanna a 3 anni e 6 mesi per turbativa d’asta nei confronti di Nicola Arena, classe 37, Massimo Arena, Antonio Demeco e Antonio Guarino. Massimo Arena e Pasquale Arena sono stati assolti, come in primo grado, dal reato di voto di scambio. L’ACCUSA Secondo l’accusa, in occasione delle elezioni amministrative del 2008, Carolina Girasole, candidata con la lista civica Sinistra Arcobaleno, era stata eletta sindaco con l’aiuto dei voti della cosca Arena, ottenuti anche grazie alla mediazione del marito. Pugliese avrebbe chiesto i voti della cosca tramite Massimo Arena, il quale in passato, per godere della semilibertà, come certificato dalla Guardia di finanza, ha lavorato per cinque mesi alle dipendenze della madre di Francesco Pugliese.
Il neo eletto sindaco, poi, avrebbe consentito, con l’appoggio di assessore e dirigente comunale, agli Arena di raccogliere un raccolto di finocchi su un terreno che gli era stato confiscato. In sostanza il sindaco e l’assessore, anziché predisporre la frangizollatura (un’aratura profonda) dei terreni confiscati, predisponevano una bozza di gara (con l’aiuto di soggetti esterni), individuando prezzi a base d’asta in modo del tutto arbitrario e inferiori rispetto ai prezzi correnti di mercato. Il tutto senza avviare alcuna istruttoria amministrativa.
DISACCORDO SULLE INTERCETTAZIONI Dalle intercettazioni portate dall’accusa «non emergerebbero elementi sufficienti a dimostrare che gli Arena si fossero spesi nel 2008 per l’elezione della Girasole e di seguito l’esistenza di un comportamento della Girasole in favore degli arena per consentirgli di acquisire profitto della vendita dei finocchi e quindi che i vantaggi attesi o ottenuti nell’anno 2010 fossero correlati in termini di immediatezza alla promessa dell’appoggio elettorale per la competizione elettorale svoltasi anni prima».
Da un lato vi sono le prove sostenute dall’accusa come una conversazione del 24 ottobre 2010, di poco precedente alla vicenda relativa all’appalto per la raccolta dei finocchi, nella quale Massimo Arena e Carmine Arena criticano aspramente un articolo che fa riferimento a un’intervista televisiva nella quale la Girasole si accreditava come sindaco antimafia. «È una p…, è una bastarda… papà non ne parla proprio che gli viene il vomito», e ancora «… non glieli ha raccolti proprio a lei i voti?» E mentre Carmine Arena dice «da me non c’è venuto», Massimo Arena afferma che il marito della Girasole «si era più volte raccomandato – è riassunto in sentenza – perché votassero la moglie e convenivano che sarebbe stato il caso di rammendarglielo».
Secondo i giudici è significativa la conversazione del 9 novembre 2010 «in cui gli interlocutori fanno chiaramente comprendere di non sapere se alla fine il raccolto sarà distrutto o piuttosto sarà salvato (“le cose cambiano di mezz’ora in mezz’ora”)». Si legge ancora nelle motivazioni il disaccordo tra l’accusa e la Corte in merito a una conversazione del 30 novembre 2010 che secondo l’accusa rivelerebbe il fatto che gli Arena sarebbero già stati a conoscenza del bando. Il dialogo avviene tra due soggetti definiti Uomo e Uomo1. I due parlano di una lettera. “L’hanno fatta?”, chiede Uomo1. «Noi l’abbiamo avuto solo… poi non sappiamo niente più quello che hanno combinato, quello che non hanno combinato, che stanno facendo… appena sono arrivate ste due righe subito a Cavaretta… (un avvocato, ndr)», risponde Uomo. Nella lunga conversazione Uomo aggiunge: «E dice che gli hanno fatto una lettera, allude al Comune, pure in prefettura, papà deve andare là, mo che arriva sta lettera…». Secondo la Corte «È veramente impossibile ricostruire tale conversazione nel senso di ritenere che gli Arena fossero alla data del 30 novembre 2010 già in possesso della bozza del bando di gara. Piuttosto la lettera, secondo i giudici, è «probabilmente quella utilizzata per indurre il sindaco a modificare il suo atteggiamento e di cui si è parlato più volte…».
DAL 2008 AL 2010 Secondo al Corte «tutte le intercettazioni sono riferite al 2010, l’elezione del sindaco Girasole è del 2008: manca la dimostrazione che sin dal 2008 ci fosse stato un accordo preciso e non meramente generico su future ipotetiche utilità, avente ad oggetto la fruizione nonostante la confisca dei beni, dei proventi della vendita dei finocchi, che peraltro doveva passare necessariamente attraverso una serie di atti e provvedimenti che non erano comunque all’epoca del presunto accordo nella disponibilità del sindaco, ma che lo sono diventati, come di seguito in motivazione, anche a causa della sicura inadempienza di altri soggetti istituzionali che avrebbero dovuto provvedere proprio alla destinazione del prodotto, oltre che a circostanze per certi versi nemmeno prevedibili, quali il rifiuto degli assegnatari del terreno a frangizzollare i terreni, ipotesi ritenuta dalla procura appunto “prevedibile”, ma evidentemente frutto di mera congettura».
MERE IPOTESI Secondo i giudici «l’accusa ha cercato di dimostrare l’accordo collusivo elettorale attraverso due presunzioni e sulla base di un indimostrato sillogismo». «Un capo del sillogismo starebbe nel fatto che la Girasole avrebbe beneficiato dell’appoggio elettorale della cosca Arena previa la promessa di futuri aiuti nell’azione di amministrativa del Comune di Isola Capo Rizzuto». «In realtà – proseguono – che la girasole abbia avuto i voti dalla cosca Arena rappresenta una mera ipotesi ricavabile a livello genericamente indiziario dalle intercettazioni del 2010 e dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sopra riportati». Secondo la Corte, la situazione probatoria non diventa più concludente, in appello, col rinnovo dell’istruttoria e l’esame dei collaboratori Giuseppe Giglio, Giuseppe Liperoti e del teste Giuseppe Palopoli. «Nè a tale deficit probatorio possono soccorrere i rapport parentali, e lavorativi tra la cosca Arena e i Pugliese/Girasole che anzi destrutturano sul piano logico l’ipotesi dell’accordo corruttivo potendo trovare spiegazione l’appoggio elettorale nei suddetti rapporti di lavoro e/o amicali e no su un accordo illecito corruttivo».
LE MANI SUI FINOCCHI Anche il fatto che la cosca sia riuscita a mettere le mani sui finocchi, ossia sui frutti dei terreni loro confiscati attraverso la turbativa d’asta cui avrebbe contribuito il bando voluto dal sindaco è una «ricostruzione del tutto indiziaria» della dimostrazione che di un rapporto collusivo anticipato al momento della candidatura della Girasole.
Non se ne potrebbe dedurne, in sintesi, un giudizio oltre ogni ragionevole dubbio visto che non vi sono prove riconducibili al 2008.
«LA RICERCA VOTI IN AMBIENTI MAFIOSI NON È ILLECITA» Tra l’altro sostengono i giudici, l’esistenza di pregressi rapporti tra gli Arena e le famiglie Pugliese-Girasole «può al più deporre per l’ipotesi secondo la quale gli Arena si siano potuti determinare autonomamente al voto per il sindaco Girasole, ma rimane decisamente fuori dalla portata dimostrativa delle prove addotte dall’accusa la possibilità di ritenere provato nel 2008 un qualsiasi accordo elettorale corruttivo tra la Girasole e gli Arena». Per concludere, secondo i giudici «la mera ricerca di voti anche in ambienti mafiosi, non è al momento, illecita se non accompagnata dalla promessa di un corrispettivo (un pactum sceleris)».(a.truzzolillo@corrierecal.it)

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