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«Bruciata dal mio ex, ho paura possa farmi ancora del male»

Maria Antonietta Rositani racconta vent’anni di violenze. «Ho avuto il coraggio di denunciarlo quanto ha picchiato mia figlia». La tremenda aggressione a Reggio e la speranza di avere giustizia. «S…

Pubblicato il: 25/11/2019 – 11:33
«Bruciata dal mio ex, ho paura possa farmi ancora del male»

ROMA Vent’anni di urla, insulti, schiaffi, calci subiti in silenzio per paura e per amore, sperando che lui un giorno potesse cambiare, mentendo a se stessa e con gli altri. Poi la forza di denunciare quando è toccato anche a sua figlia essere vittima della violenza. Un coraggio che però non è stato ripagato perché la sua prima denuncia è rimasta lettera morta lasciando che le aggressioni diventassero sempre più cruente. E quando finalmente un processo per maltrattamenti in famiglia viene avviato, l’ex marito, Ciro Russo, condannato anche in appello, dopo aver ottenuto i domiciliari evade dall’abitazione dei suoi genitori a Ercolano per raggiungere Reggio Calabria e dare alle fiamme la compagna di una vita e madre dei suoi figli. È la storia di Maria Antonietta Rositani, 42 anni, ricoverata da 8 mesi al Policlinico di Bari per le ustioni riportate sul 50% del corpo, che in un’intervista all’Agi ricorda quel giorno: «Il 12 marzo di quest’anno alle 6 del mattino squilla il telefono di casa – racconta -. Mi alzo dal letto spaventata perché, visto l’orario, penso sia successo qualcosa ai miei familiari. Invece, una voce, coperta da fruscii e rumori, mi inonda di parolacce. Attacco ma richiama. Questa volta la voce è nitida. È lui. Metto fuori posto il telefono, ma mi chiama anche al cellulare e continua a insultarmi. Lo spengo ed esco di casa per accompagnare a scuola i miei due figli. Al ritorno vengo informata che il mio ex marito è evaso. Proprio quel giorno doveva essere emessa la sentenza per l’affidamento del mio figlio più piccolo. Mentre mi sto precipitando dai carabinieri, la mia auto viene speronata bloccandomi l’uscita dal lato guida. Capisco subito che è lui. Prendo il cellulare mentre la mia macchina sta finendo contro un muro e chiamo la polizia per dire che il mio ex mi sta per ammazzare, comunicando in fretta la via in cui mi trovo. A quel punto lancio il cellulare perché nel frattempo vedo il suo volto: guardandomi negli occhi getta benzina e appicca il fuoco all’interno dell’auto dal lato passeggero, dove si trova il cagnolino che avevo regalato dopo l’arresto del padre a mio figlio, e per lui compagnia importantissima che morirà due giorni dopo. Cominciano le fiamme, apro la portiera lato passeggero e per uscire vado contro di lui che mi butta addosso la benzina dicendomi “muori”».
«Sento una forza incredibile – prosegue Maria Antonietta – che mi viene dall’amore nei confronti dei miei figli e che mi fa scappare, fermarmi a bere l’acqua di una pozzanghera, che uso anche per tamponarmi un po’ le fiamme, e spogliarmi degli abiti che bruciano. Anche lui, ma da vile e codardo, scappa. Lo arresteranno il giorno dopo vicino a una pizzeria dove tranquillamente aveva acquistato della pizza che stava mangiando, in pieno centro a Reggio Calabria, distante pochissimi metri dal Comando provinciale dei carabinieri. Questo dimostra quanto sia spavaldo». Da qui il secondo calvario di Maria Antonietta: 200 volte in sala operatoria tra interventi e medicazioni, a luglio una settimana di coma e un mese in rianimazione in seguito a serie complicanze, ora in terapia intensiva. Il suo corpo completamente fasciato, mobilità ridotta, dolori a causa di ferite ancora aperte. 
«La riabilitazione sarà dura – dice Maria Antonietta all’Agi -. Devo riuscire dopo 8 mesi ad abbandonare questo letto e a imparare di nuovo a stare in piedi». E a questo si aggiunge «la paura» che Ciro Russo possa farle «ancora del male» quando lei uscirà dall’ospedale. Ecco perché si augura che «il processo che inizia a gennaio sia un processo “in coscienza”. Spero – afferma Maria Antonietta – che ci sia una giusta condanna di Ciro Russo non solo per me ma per tutte le donne che stanno soffrendo in questo momento e che potrebbero trovarsi nella mia stessa situazione o addirittura in una peggiore della mia. Spero che il magistrato mi possa togliere ogni paura». Maria Antonietta non ha smesso di credere nello Stato nonostante i tanti segnali negativi: tra questi «la denuncia di maltrattamenti – spiega – lasciata in un cassetto e non inoltrata alla magistratura dai carabinieri e ritrovata solo per la tenacia di mio padre, così come non ha avuto subito seguito quella in cui segnalavo che il mio ex marito continuava a usare i social e il cellulare dagli arresti domiciliari. Inoltre, se non gli fossero stati dati i domiciliari – si sofferma a riflettere – credo che oggi non mi troverei qui a Bari dopo essere stata bruciata da lui». 
Maria Antonietta, nella giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne, dal suo letto in ospedale vuole far arrivare un messaggio a chi sta vivendo violenze e aggressioni: «Sono stati vent’anni di atrocità in cui io avevo gli occhi chiusi, pensavo che il giorno dopo non succedessero più, avevo paura di parlare, raccontare e più di ogni altra cosa di ammettere a me stessa che subivo violenza. Sono stati vent’anni di bugie dette per prima a me stessa. Mascheravo il mio volto con il sorriso per nascondere agli altri la mia infelicità, ma soprattutto quello che mi accadeva nelle lunghe notti di terrore. Io prigioniera a casa mia. Ho avuto il coraggio di dire basta quando lui ha colpito al volto mia figlia, intervenuta in mia difesa, con uno schiaffo talmente forte da farle uscire sangue. L’amore invece non lascia mai lividi sul corpo, non offende, non ti dice che non vali e non servi a niente, non minaccia di morte. L’amore dovrebbe essere carezza, farti sentire tra le nuvole, felicità, sensazioni che io purtroppo non ho mai provato. Quindi dico a tutte le donne che stanno subendo violenza: aprite gli occhi, non abbiate paura di raccontare prima a voi stesse la verità e poi a tutti gli altri. Dobbiamo denunciare perché oggi siamo noi, domani può essere una nostra figlia, una nostra nipote, una nostra zia, qualunque altra persona. E siamo proprio noi che dobbiamo dare l’esempio». 
Maria Antonietta fa un appello anche alle istituzioni: «Lo Stato deve dare risposte, sostenere le donne che denunciano e sensibilizzare tutti gli operatori affinché non sottovalutino le loro richieste di aiuto». Una lunga lettera in cui Maria Antonietta Rositani ripercorre la sua storia invitando le donne a denunciare è stata diffusa nelle scuole di Reggio Calabria, la sua città dove vorrebbe ritornare in occasione del Natale: «La speranza di trascorrerlo con i miei figli – si commuove – mi dà la forza di lottare ancora di più».

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