Si avverte ormai da tempo uno “scollamento” tra coloro i quali sentono la necessità di una politica “reale”, legata alle esigenze degli individui e dedita a fornire delle risposte, e quanti, per converso, si occupano di drenare consenso ammorbando il dibattito, deviando l’attenzione dai temi di reale interesse per la collettività. “Questa è la realtà, ci restituite una politica altrettanto seria per favore?”. Così Mattia Sartori, il giovane messosi alla testa delle “sardine anti-Salvini”. Il punto è proprio questo, il ritorno della Politica. Non si può fingere di ignorare il fatto che nella popolazione, in quella larghissima parte di essa che respinge le finzioni e la retorica salviniane, ma che ha anche imparato a non aderire ad occhi chiusi a movimenti che gridano al “governo ladro”, c’è bisogno di Politica. C’è bisogno, cioè, di vedere rappresentate le proprie esigenze attraverso una politica responsabile, consapevole e capace. Seria. Come al solito i partiti non si mostrano all’altezza della sfida, anzi ritengono prioritario rispondere alla retorica di una parte (le presunte emergenze immigrazione o i privilegi dei politici) con altrettanta retorica, come nel caso del taglio dei parlamentari, soluzione semplicistica e inadeguata ai problemi reali di legittimazione della classe politica. Lo schema – è evidente -conduce all’autodistruzione dei partiti stessi, in quanto implica la loro sostanziale rinuncia alla Politica. Mette cioè in crisi quelle mediazioni necessarie alla democrazia rappresentativa rincorrendo, invece, vaghi sogni di democrazia diretta o come è stato detto di direttismo, che possono anche innescare derive autoritarie. Implica, per la verità, anche la rinuncia a proporre la Politica come una cosa seria, nobile e per la quale ci si deve mettere al servizio. A vantaggio di una politica redenta dai salvatori venuti dalla società civile. E se la società civile può anche fornire, in qualche caso, nuova vitalità a una politica sclerotizzata, altro è il suo ruolo storico e altre le sue logiche. E perciò spesso non offre altro che improvvisati simboli di impegno che si dimostrano del tutto inadatti ad affrontare le sfide politiche. La realtà è che il dibattito è drogato da un equivoco di fondo: non è la “Politica” ad aver fallito, intendendo per tale l’impegno politico, quella che una volta e senza vergogna si amava chiamare “militanza”, bensì i suoi interpreti degli ultimi trent’anni. Bisogna prendere atto, cioè, che chi ha gestito le sorti dei partiti negli ultimi decenni, intrecciandole con le proprie ambizioni di governo delle istituzioni, ha miseramente fallito, ha provocato le derive populiste e spedito la gente tra le braccia dei Salvini di turno. Ma lo schema è fallimentare e su questo non bisogna inseguire l’antipolitica, bensì rivendicare con forza la supremazia di una Politica che sappia legarsi a doppio filo alla realtà quotidiana, alle ansie e ai problemi che quotidianamente ogni famiglia vive e sopporta in solitudine. Ci sono una infinità di militanti e di ex militanti, messi ai margini dei partiti e dunque costretti a lasciare il campo a chi era più funzionale a certe logiche, che non meritano la mortificazione di vedere il loro impegno, magari pluriennale, accantonato in favore di un civismo che spesso sconfina con il trasfersalismo trasformista. Il Partito Democratico, ad esempio, la deve smettere di inseguire dinamiche che non gli sono proprie come votarsi ad una sorta di “civismo di maniera” che non serve a recuperare nessuna credibilità tra la gente: c’è urgente bisogno di cambiare gli interpreti, ma quello che serve all’Italia (e alla Calabria) è che torni la Politica. Quella seria. Il Partito Democratico e le forze del centro sinistra devonorecuperare il valore della militanza perché è proprio questo che è mancato e manca da qualche decennio: dare valore alla militanza vuol dire dare voce a quell’impegno, vuol dire non sottovalutare il grido delle piazze dove migliaia di sardine cantano “bella ciao”, vuol dire affidare ad interpreti consapevoli quel grido. Perché fare politica non può essere la risultante della improvvisazione, non può voler dire affidarsi agli slogan e alla demagogia. Seguiteremmo a commettere un errore fatale se, anche in Calabria, promuovessimo ancora una volta dinamiche populiste, tese a certificare che chi si occupa di politica deve essere messo ai margini o, peggio, è solo per questo indegno di rappresentare i bisogni della gente. C’è un esercito di persone che hanno dedicato e dedicano la propria vita all’impegno politico, in modo totalmente gratuito e lontano dalla gestione del potere, che non meritano di essere mortificati dai professionisti della società civile. E che oggi animano le piazze delle “sardine” non riuscendo a trovare spazi di azione nei partiti. È a quella classe di militanti che bisogna rivolgersi oggi e da quella bisogna ripartire, affinché finalmente la Politica prevalga sui populismi e alzi dignitosamente la testa.
*Associazione Politico Culturale
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