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«Sia una campagna elettorale, non una guerra»

di Ettore Jorio*

Pubblicato il: 04/12/2019 – 8:52
«Sia una campagna elettorale, non una guerra»

La Calabria è nota come regione bifronte. In essa si contrappongono, così come il verso e il recto di un antico sesterzio romano: da una parte, le sue bellezze naturali e i simboli dell’innato perbenismo dei calabresi; dall’altra, le condizioni penose in cui l’hanno ridotta la malapolitica, la ‘ndrangheta, l’assoggettamento dei cittadini, per lo più segnatamente bisognosi, ai voleri dei decisori che, di fatto, sono sempre gli stessi, solo perché bravi a raccogliere il consenso promettendo a tutti e di tutto.
Dunque. Stupendi il suo mare e i suoi monti ma resa inguardabile per come è stata ridotta urbanisticamente e per i decadenti servizi offerti. Ricca di persone che non si trovano altrove uguali in generosità contrapposte a quei pochi che generano la delinquenza più temuta nel mondo. Un patrimonio naturale, funzionale a generare in un qualsiasi altro posto una diffusa ricchezza, ridotto a strumento di rischio idrogeologico e a causa di mancata occupazione cronica. Intelligenze distribuite ovunque con decisori che rimangono a garanzia del degrado e della trascuratezza della legalità.
Usciamo dal peggio
La Calabria è non solo la regione più geograficamente a sud del Paese bensì rappresenta, da un po’ di tempo, il sud del Mezzogiorno, intendendo per tale l’esempio in negativo assoluto. Non riesce, infatti, a fare gli stessi passi di crescita che fanno le regioni poste alla sua stessa latitudine che, chi più chi meno, registrano segni di progresso, eccelsi in Puglia ma significativi finanche in Campania. Non solo, com’è ridotta oggi e l’assenza assoluta di programmi sembrano non promettere alcunché di buono.
Occorre metterci la testa
Sardine a parte – che amo come invenzione di strada e che spero che non si traducano giammai in esca per prede più o meno ittiche -, in vista delle elezioni abbiamo la necessità di fare proprio un sano ragionamento collettivo, senza il quale perderemmo un’ulteriore occasione per effettuare la decisiva svolta. Il ragionamento non riguarda gli uomini che ci sono e le donne che di contro mancano nel palmares dei candidati a Presidente della Regione e, poi, a consiglieri regionali. Ciascuno di loro merita ciò che ha seminato. L’anzidetto ragionamento afferisce alle cose concrete che occorrono per rinascere dal nulla, alle conoscenze ottimali senza le quali non si potrà andare da alcuna parte, ai tempi e agli atti indispensabili per scandire il cambiamento reale, mettendo da parte i miracoli per i quali qualcuno sembra tuttavia essersi attrezzato.
La brutta realtà cui rimediare
Il problema è la Calabria. In quanto tale una regione da sottoporre ad una immediata terapia d’urto previa una corretta rianimazione del buon senso necessario. Essa è una regione che non ha nulla e che si sta via via impoverendo delle energie essenziali per la ripresa. Colleziona un debito inarrestabile, cui contribuisce il malgoverno dei Comuni, condannati a rimanere perenni cattivi pagatori dei loro debiti contratti nei suoi confronti.
Insomma, la Calabria è una regione ove è tutto da ricostruire: un sistema delle autonomie locali divenuto colabrodo perché afflitto da default nella misura del 30% dei suoi componenti; una sanità che non c’è; un’assistenza sociale che si fa finta di disciplinare dopo decenni di quell’incuria ancora (ahinoi) attualissima; trasporti pubblici locali difficili persino da immaginare; plessi scolastici e strutture di accoglienza (ospedali compresi) inadeguati a sopportare eventi sismici; un ambiente maltrattato e l’inesistenza di una politica dei rifiuti; un lavoro che non c’è e che, invece, deve essere assicurato. Queste sono alcune delle tante altre cose alle quali i calabresi dovranno porre rimedio scegliendo il Presidente giusto per una regione non suscettibile di riparazioni parziali ma che ha bisogno di una seria stagione di riforme strutturali.
Necessita una gara elettorale basata sulla concretezza
Quella che ci accingiamo a vivere, da qui al prossimo 26 gennaio, dovrà essere pertanto una campagna elettorale che non potrà assumere, così come sembrerebbe invece apparire dalle prime avvisaglie, le vesti di una campagna di guerra, intesa come strumento bellico utile ad imporre un volere sottoponendo «sotto le armi un territorio (il nostro)» (De Mauro dixit). Dovrà essere di contro una competizione ragionata e convincente, ove dovrà essere offerta ai calabresi – da parte di ogni candidato – l’immagine chiara e concreta di ciò che si vuole realizzare nella nostra regione nel medio periodo, quello messo a disposizione della prossima legislatura, perché diventi normale come le altre.
Su questo, è doveroso che i candidati si misurino e che i calabresi scelgano, disdegnando ogni pericolosa astensione.

*docente Unical

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