ROMA Il ruolo di presidente di Regione non è più incompatibile con quello di commissario alla Sanità. Lo ha stabilito una sentenza della Corte Costituzionale che, accogliendo la questione proposta dalla Regione Molise, ha stabilito che l’incompatibilità tra le due figure – introdotta dal decreto legge 119/2018 – è incostituzionale.
Le Regione che ha presentato il ricorso alla Consulta era dunque legittimata «a far valere i vizi di una normativa che – pur se inquadrata nell’ambito dell’esercizio del potere sostitutivo dello Stato – modifica il previgente regime, direttamente riguardante non le attribuzioni del commissario ad acta in quanto tali, ma la persona che ricopra l’incarico di Presidente della Regione, assunto come soggetto incompatibile a svolgere quelle funzioni».
La norma impugnata ha in sostanza introdotto un meccanismo di incompatibilità tra la carica di commissario ad acta e qualsiasi incarico istituzionale presso la Regione commissariata, ma così secondo la Consulta si determina una automatica menomazione (specie per i commissariamenti in atto, ricoperti da presidenti di Regione che quindi decadono dall’incarico) sul piano delle competenze, anche rispetto alla previgente disciplina, dal momento che il quadro normativo preesistente consentiva l’esercizio di quella funzione da parte del Presidente della Regione commissariata. La norma va insomma ad interferire nella sfera regionale in ambiti di competenza concorrente come sanità e coordinamento della finanza pubblica.
La Consulta ha inoltre sancito la violazione dell’articolo 77 della Costituzione, che regolamenta l’emanazione dei decreti legge da parte del governo e la loro conversione in legge, ricordando come «l’inserimento di norme eterogenee rispetto all’oggetto o alla finalità del decreto-legge determina la violazione dell’art. 77, secondo comma, della Costituzione. Tale violazione, per queste ultime norme, non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessità e urgenza, giacché esse, proprio per essere estranee e inserite successivamente, non possono collegarsi a tali condizioni preliminari, ma scaturisce dall’uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione attribuisce ad esso, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge».
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