Le prossime elezioni regionali assumeranno, nel Paese, un’importanza vitale per la nazione intera relativamente all’esigibilità diffusa dei diritti fondamentali.
Tra tutte, dovranno dare immediata prova di sé l’Emilia-Romagna e la Calabria, impegnate per il voto fissato per il prossimo 26 gennaio 2020, ove sarà imposto ai candidati di recitare comprensibilmente i loro programmi. A queste due seguiranno le altre sei calendarizzate nel 2020 (Veneto, Campania, Toscana, Liguria, Marche e Puglia), alcune delle quali note per il buon esercizio del governo territoriale.
Con riferimento alle prime due regioni:
– un compito facile per gli emiliano-romagnoli, abituati come sono a constatare e godere di una politica regionale soddisfacente, impegnati quindi a decidere in favore del candidato che riterranno più convincente, ma soprattutto di quello più credibile;
– diversamente sarà per i calabresi da decenni privi dell’esigibilità dei diritti fondamentali, costretti a registrare uno spopolamento dei giovani dal sapore di un vero e proprio esodo, indebitati fino al collo, con oltre il 30% destinato ad incrementare sensibilmente dei Comuni in default, e la Regione recentemente maltrattata dalla Corte dei conti in sede di parifica del rendiconto 2018 e incapace persino di approvare il bilancio di previsione per il 2020, tanto da ricorrere all’esercizio provvisorio, per finanziare finanche la competizione per eleggere il Presidente e i consiglieri regionali.
In un siffatto appuntamento elettorale vige un preciso impegno che rappresenta un’importante novità, solo perché il tema di riferimento è responsabilmente ritornato alla ribalta della politica dopo quasi un ventennio di irresponsabile letargo delle istituzioni parlamentari, dei governi che si sono succeduti e soprattutto dell’alta burocrazia ministeriale che, a tal proposito, ha remato contro l’applicazione dei precetti costituzionali e dei suoi provvedimenti legislativi attuativi, forse perché impeditivi di riparti discrezionali delle risorse.
Al riguardo, oltre agli argomenti che caratterizzeranno le soluzioni programmate per soddisfare le diverse esigenze territoriali e a quelli finalizzati alla determinazione dei loro processi di crescita, i candidati dovranno infatti impegnarsi ad anticipare alle rispettive comunità la loro idea di regionalismo differenziato, così come delineato nell’art. 116, comma 3, della Costituzione. Più precisamente, dovranno fornire cosa intenderanno fare, relativamente alla posizione assunta di recente dal Governo sul regionalismo asimmetrico e sulla contestuale applicazione del federalismo fiscale, finalmente considerati nella loro imprescindibile unitarietà. Ciò prescindendo dalle diverse situazioni di partenza, atteso che l’Emilia-Romagna ha già presentato in proposito un’apposita istanza, condivisa con il governo presieduto da Paolo Gentiloni nel febbraio 2018, a differenza della Calabria che, di contro, sul tema non ha invece neppure maturato una idea avendone, sino ad oggi, sottovalutato assurdamente la portata.
Una eventuale rielaborazione per l’Emilia-Romagna e la presa di coscienza della problematica per la Calabria, con a valle una precisa scansione sui provvedimenti da assumere nella particolare difficile materia, rappresenteranno pertanto il punto focale della campagna elettorale in atto e l’argomento cruciale sul quale le collettività dovranno consapevolmente decidere del loro futuro. Una esigenza, quest’ultima, che imporrà ai candidati una sua conoscenza approfondita e, quindi, un linguaggio chiaro e comprensibile a tal punto da rendere la materia patrimonio collettivo sapendo che, in difetto, ogni approccio al voto risulterebbe incosciente e pericoloso per le stesse comunità coinvolte.
Compito fondamentale dei concorrenti a presidenti delle Regioni sarà, invero, quello di circoscrivere la questione e proporre su di essa un ragionamento soddisfacente e stringato, tale da renderlo comprensibilissimo tanto da generare un sano confronto comparativo tra le diverse «ideologie» che avranno l’onere di misurarsi tra loro e con l’elettorato.
L’argomento è difficile per suo conto e francamente sino ad oggi affrontato, per molti versi, con superficialità anche da parte di alcuni degli addetti ai lavori, quelli che avrebbero avuto il dovere di sviscerarlo il più possibile e di raccogliere su di esso le più diffuse opinioni delle «categorie» coinvolte e/o destinatarie del cambiamento. Esso è pertanto bisognevole di un giudizioso approfondimento da parte dei candidati allo scopo di incentrare su di esso il dibattito politico del prossimo test elettorale.
*Docente Unical
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