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«Chini spaccia suttabancu li bucu i gambi». Così gli Abbruzzese punivano i pusher

Nell’inchiesta della Dda di Catanzaro, “Testa di Serpente”, sono finiti anche gli episodi di gambizzazione ai danni di Salvatore Muoio e Rocco Abbruzzese. Il primo vendeva droga nel centro storico …

Pubblicato il: 16/12/2019 – 7:34
«Chini spaccia suttabancu li bucu i gambi». Così gli Abbruzzese punivano i pusher

di Michele Presta
COSENZA
  «Chine spaccia suttabancu fa la fine e chiru là, passu, sparu e li bucu i gambi». La pace tra i clan che fanno parte del «sistema» a Cosenza è sacra come un vincolo di sangue, ma se qualcuno sbaglia, paga. Questo è successo a Salvatore Muoio, pusher del centro storico del capoluogo Bruzio che secondo i pentiti cosentini è stato gambizzato perché aveva smesso di rifornirsi dal gruppo dei “Banana” preferendo altre fonti. I fatti vengono circostanziati nell’inchiesta “Testa del Serpente” messa a segno dalla Dda di Catanzaro. Per il gip, Muoio è stato raggiunto dai proiettili di una pistola calibro 9×21 mentre si trovava sui gradini del bar vicino al Duomo del centro storico di Cosenza perché «era intenzione dei “Banana” assicurarsi la gestione in monopolio dello spaccio dell’eroina nell’area (il centro storico di Cosenza, ndr) ove per loro conto agiva Domenico Iaccino, evitando il “sottobanco”». L’attentato a Salvatore Muoio risale al mezzogiorno del 19 ottobre nell’anno del 2011. La vittima è un pluripregiudicato, polizia e carabinieri gli stanno con il fiato sul collo, ma lui nonostante i controlli riesce ad accaparrarsi la droga e assicurarsi un gruzzolo di clienti. Pensa poco alle conseguenze e che è lui stesso a firmare quasi una condanna a morte. Secondo tutti i pentiti cosentini a fare fuoco quella mattina è stato Marco Abbruzzese. “Lo Struzzo” era stanco di quel sottobanco. «Dopo il fratello, Tonino Abbruzzese, è quello che conta di più anche perché è il più violento, con lui non si può ragionare», sostiene il collaboratore di giustizia Vincenzo De Rose. Secondo le ricostruzioni fatte nelle investigazioni, davanti a Muoio, con una pistola in  mano, si sarebbe presentata una persona con il volto coperto dal casco. Un altro invece si trovava alla guida di una moto di grossa cilindrata con la quale sono arrivati ai piedi del Duomo di Cosenza. È “Pozzetto” ossia Vincenzo Noblea a spiegare come lo stesso Marco Abbruzzese gli avesse raccontato la dinamica durante un periodo di comune detenzione in carcere.«Chine spaccia suttabancu fa la fine e chiru là, e Salvatore Muoio, passu, sparu e li bucu i gambi» avrebbe detto Abbruzzese a Noblea che ai magistrati antimafia sulla dinamica ha riferito di aver sentito il rombo della moto e i colpi di pistola». Com’è successo? «Niente, è passato cu ra motocicletta, l’ha sparato e si ‘ndejutu». Marco Abbruzzese avrebbe dunque sparato. Secondo alcuni alla guida della moto potrebbe esserci stato Antonio Taranto (ucciso qualche anno dopo) oppure sempre uno dei fratelli Abbruzzese. Celestino Abbruzzese dopo aver iniziato a collaborare spiega che forse a sparare sia stato Nicola e a guidare Marco ma secondo i magistrati “Micetto” fa confusione. Troppo dettagliati i racconti di Marco Paura, Vincenzo De Rose e Francesco Noblea. «Doveva essere Domenico Iaccino a sparare ma poi si è tirato indietro», ha detto Celestino Abbruzzese ai magistrati. Però l’elemento rilevante che l’ex boss dei “Banana” aggiunge riguarda la decisione dell’atto intimidatorio. «La gambizzazione del Muoio era maturata all’interno del cosiddetto “sistema” – è scritto nelle carte dell’inchiesta – ovvero l’organizzazione criminale che governa il traffico e lo spaccio di droga in città, con la conseguente divisione delle “competenze” e delle zone». Per questo, secondo i magistrati, nell’atto intimidatorio sono coinvolti, oltre ai fratelli Marco, Nicola, Luigi  e Celstino Abbruzzese, anche  Antonio Abbruzzese, Franco Bruzzese e Maurizio Rango. «Il monopolio lo abbiamo avuto noi dopo che è successa la gambizzazione di Salvatore Muoio», puntualizza alla fine di un lungo verbale Celestino Abbruzzese.
I DISSIDI INTERNI AL CLAN DEGLI ZINGARI E L’AGGUATO A “PANCIONE” Le armi, gli “Zingari”, le usavano sia per ristabilire l’ordine fuori che per regolare i conti dentro al clan. È sempre Marco Abbruzzese (in carcere dopo l’inchiesta della Dda) a rendersi protagonista, secondo il racconto dei pentiti, di un altro episodio di violenza e sangue: la gambizzazione di Rocco Abbruzzese conosciuto come “il Pancione”. Entrambi della stessa famiglia, ma gli attriti tra il figlio del capostipite dei “Banana” ed il fratello di Antonio Abbruzzese detto “Strusciatappine”, diventa contesa sempre per motivi di droga. L’eroina tocca ai “Banana” nessuno lo mette in discussione ma i dissapori nascono all’interno della stessa famiglia perché le due fazioni avrebbero usato fornitori diversi. Per gli “Zingari” la droga arriva da Cassano allo Ionio «invece la famiglia 
“Strusciattappine” andava a rifornirsi a Napoli e invece di pagarla a 32 euro al grammo, la pagavano a 19 euro al grammo. Questa cosa a Marco Abbruzzese alias “Banana” gli dava un po’ fastidio. Infatti all’epoca c’è stata una… una… come si dice? …un diverbio fra di loro che Marco Abbruzzese sparò il “Pancione” dietro le spalle», sostiene Francesco Noblea. Che l’autore dell’agguato fosse “Lo Struzzo” lo sostengono anche altri collaboratori di giustizia come Silvio Gioia o Mattia Pulicanò. Entrambi raccontano di un ferimento a colpi di arma da fuoco al polpaccio, ma la cosa che in ambiente criminale fece vacillare definitivamente i rapporti fu quello che fece Rocco Abbruzzese arrivato in ospedale. Ai sanitari diede un nome falso, riferì di chiamarsi Marco Abbruzzese, proprio come l’uomo che si presume lo abbia sparato. «La gambizzazione è stata posta in essere da Marco Abruzzese lo ha “sparato” per una vertenza in ordine allo spaccio di eroina. Tale vicenda l’ho appresa da Fiore Bevilacqua “Mano mozza” con cui in quel periodo ero detenuto insieme nel carcere di Cosenza: lo stesso, andando in permesso, ha approfondito la vicenda, riferendo al rientro che però era già nota a noi detenuti poiché pervenuta nel corso dei colloqui – racconta Mattia Pulicanò –. La questione l’ho appresa anche direttamente da Marco Abruzzese una volta tratto in arresto, nel 2011 nel corso di un’operazione antidroga, e quindi incontrato presso la casa circondariale di Cosenza. Come detto, tale vicenda era sorta in conseguenza di una controversia circa lo spaccio di eroina a Cosenza, in quel momento con il monopolio di Michele Bruni. Quest’ultimo, per tali motivi, aveva avvicinato Rocco “u pancione” e Leonardo Bevilacqua. Ciò aveva determinato una “imposizione” da parte di Rocco “u pancione” a Marco e Luigi Abruzzese, figli di “Banana” che ovviamente non avevano gradito “non tenendosi la cosa”. La vicenda si è ulteriormente aggravata da quello che so poiché Rocco “u pancione” recandosi al pronto soccorso dell’ospedale di Cosenza, ha fornito, quale sua identità, il nome di Marco Abruzzese, facendo di conseguenza “una infamità”». (m.presta@corrierecal.it)

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