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Le verità del nuovo pentito. «Temo che a Vibo scoppi una guerra di 'ndrangheta»

Bartolomeo Arena collabora con la Dda da qualche mese. Ha aiutato i carabinieri a far luce sul delitto di Piscopio. La sue prime dichiarazioni: «Vengo da una famiglia di uomini d’onore dal 1800. Or…

Pubblicato il: 16/12/2019 – 12:51
Le verità del nuovo pentito. «Temo che a Vibo scoppi una guerra di 'ndrangheta»

VIBO VALENTIA «Ho deciso di collaborare con la giustizia perché temo che a breve a Vibo Valentia scoppierà una guerra di ‘ndrangheta. Io voglio stare lontano da questa storia e pensare al bene di mio figlio».
C’è un nuovo pentito a Vibo. È Bartolomeo Arena, 43 anni, che ha deciso di collaborare con la Dda di Catanzaro da qualche mese e ha aiutato i Carabinieri a far luce anche sulla sparatoria avvenuta a Piscopio nella notte fra il 27 e 28 settembre scorso in cui è rimasto ucciso Salvatore Battaglia e ferito Giovanni Zuliani. Arena, nel maggio scorso, si era reso irreperibile insieme ad Antonio Pardea, 33 anni, anche lui di Vibo Valentia. I due hanno poi fatto rientro in città. Vicino al clan Lo Bianco di Vibo Valentia e poi al gruppo di Andrea Mantella, anche quest’ultimo divenuto collaboratore di giustizia nel 2016, ha iniziato a collaborare temendo per la sua vita, come testimoniano le drammatiche parole pronunciate davanti agli inquirenti. Le sue dichiarazioni potrebbero portare a un vero “terremoto giudiziario” sulla città di Vibo Valentia.
«UOMINI D’ONORE DAL 1800» L’ordinanza che ha portato all’emissione delle misure cautelari per il delitto Battaglia contiene le prime dichiarazioni di Arena. Che, nell’interrogatorio del 18 ottobre scorso, racconta l’inizio della sua parabola criminale. E spiega agli investigatori: «La mia famiglia è la famiglia Arena-Pugliese, i cui componenti fin dal 1800 sono uomini d’onore. Successivamente mio nonno ha preso il doppio cognome Carchedi, dopo che suo padre è rientrato dall’amica. I miei familiari sono stati da sempre ‘ndranghetisti». Quello di Arena è un destino segnato; accade a tanti ragazzini, figli di capibastone che devono continuare il percorso criminale segnato da generazioni. «Io – racconta il collaboratore di giustizia agli inquirenti – fin dall’età di 10-11 anni ho iniziato a comprendere che la mia famiglia fosse una famiglia ‘ndranghetista. A 16 anni mi dovevano fare picciotto ma, siccome ero troppo scalmanato, mi hanno rinviato all’età di 22 anni ma, quando è arrivato il momento della mia affiliazione, siccome non condividevo il fatto che i Lo Bianco-Barba erano sotto i Mancuso, non volli essere affiliato». L’educazione mafiosa di Barba avviene nel gruppo guidato Andrea Mantella (anche lui pentito), di cui dice di aver frequentato il cugino Giuseppe, «morto in un incidente di moto, poi mi sono legato ad Antonio Grillo».
IL BATTESIMO Barba diventa affiliato nel 2012, quando «venne battezzato il locale con la tipica formula e successivamente mi venne fornita la dote del Picciotto e anche quella della Camorra, con la pronuncia della relativa formula di iniziazione, che per la Camorra prevedeva la fuoriuscira di sangue dal braccio attraverso pungitura (o “tirata”). Io fui il primo della famiglia a essere battezzato e successivamente portai tutti gli altri giovanotti a essere battezzati». Barba riassume la propria ascesa criminale: «Dopo lo “sgarro” ho avuto la “santa”, concessami dopo la riunione del locale con i Lo Bianco. Dopo il distacco dai Lo Bianco di cui ho parlato mi fu dato il Vangelo. (…) Per quanto concerne la dote di Trequartino, mi fu data con il benestare di … in quanto erano gli unici che rispondevano a Polsi. Nel corso della medesima riunione in cui mi fu dato il Vangelo mi fu dato il Trquartino, seppure per regola sarebbe dovuto trascorrere un po’ di tempo, difatti fu indicata una data differente nelle due copiate». Circa 30 anni fa ad Arena fu ucciso un congiunto il cui corpo non è mai stato ritrovato e nella seconda metà degli anni 2000 un altro parente era stato assassinato in un agguato lungo la strada tra Vibo Marina e Pizzo.
CINQUE PENTITI IN QUATTRO ANNI Salgono dunque a cinque i pentiti di ‘ndrangheta negli ultimi quattro anni. Il primo è stato, nel 2015, Raffaele Moscato, ex componente di fuoco del clan dei Piscopisani, che ha contribuito all’operazione “Rimpiazzo” che ha aperto nuovi scenari non solo nella mappa geo-mafiosa della città ma anche in altri settori che potrebbero coinvolgere i cosiddetti colletti bianchi. Nel 2016 è stata la volta dell’ex boss di Vibo Andrea Mantella che durante un’udienza del processo “Black money” disse: «Ho commesso otto omicidi, quanti ne ordinati neanche me lo ricordo». Quindi Nicola Figliuzzi, terminale armato del clan dei Patania nella guerra con i piscopisani (novembre 2017). Poi Giuseppe Comito, esponente sempre di Patania. (ppp)

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