PIZZO CALABRO Un “occhio di riguardo” alle cosche egemoni sul territorio, anche nella “sua” Pizzo, e un “conflitto di interessi” con la sua attività imprenditoriale, in generale condotte amministrative illecite che secondo gli inquirenti hanno «concretamente contribuito, pur senza farne parte, al rafforzamento, alla conservazione e alla realizzazione degli scopi» della ‘ndrangheta. Con queste accuse è finito in carcere il sindaco di Pizzo Calabro e presidente dei sindaci calabresi raggruppati nell’Anci Gianluca Callipo, uno dei “nomi eccellenti” coinvolti dalla mastodontica operazione “Rinascita Scott” della Dda di Catanzaro. “Astro nascente” del Pd dell’epoca renziana, competitor delle primarie per la candidatura a governatore nel 2014 sconfitto da Mario Oliverio, Callipo a novembre scorso aveva lasciato i democrat per abbracciare il progetto politico del sindaco di Cosenza Mario Occhiuto in corsa per la Cittadella: adesso, per Gianluca Callipo invece la realtà è ben altra. Nel mirino degli inquirenti c’è il ruolo di Callipo quale imprenditore del settore alberghiero ma soprattutto quale sindaco di Pizzo al servizio – annotano gli investigatori – della “locale” di San Gregorio d’Ippona, la cosca Razionale-Gasparro, e della ‘ndrina napitina dei Mazzotta: un ruolo che Callipo – si legge negli atti dell’inchiesta – avrebbe esercitato anche con il concorso, in alcune circostanze, del comandante della polizia municipale di Pizzo, Enrico Caria, del responsabile dell’Ufficio urbanistico del Comune, Maria Alfonsina Stuppia e dell’assessore ai servizi sociali Pasquale Marino.
IL SOSTEGNO AI MAZZOTTA La prima accusa a carico di Gianluca Callipo è quella di aver fornito, «quale concorrente “esterno”, nella qualità di imprenditore alberghiero e sindaco di Pizzo, uno stabile contributo alla vita dell’associazione mafiosa». Secondo gli inquirenti, Callipo si poneva «quale punto di riferimento per il sodalizio nella risoluzione di problematiche inerenti la propria funzione di sindaco, favorendo, anche nell’adozione o meno di specifici provvedimenti, il suo appoggio all’organizzazione, omettendo i dovuti controlli sulle attività di interesse del sodalizi». Alla famiglia Mazzotta, in particolare, Callipo – è l’ipotesi accusatoria – avrebbe garantito condotte amministrative «favorevoli» alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale della società “Ittica”, «anche in cambio del sostegno elettorale offertogli, in occasione delle elezioni comunali dell’11 giugno 2017, dal sodalizio criminale napitino». Ma i “favori” ai Mazzotta, secondo gli investigatori, non sarebbero finiti qui: nell’ordinanza si riporta infatti che Callipo, insieme a Caria e Stuppia, avrebbero «omesso di compiere qualsiasi atto amministrativo che potesse dare effettivo e concreto esisto a un’ordinanza, del 15 aprile 2013, del settore urbanistico del Comune di Pizzo avente come oggetto la demolizione di opere abusive e contestuale ripristino dello stato dei luoghi e di restituzione di un immobile al Comune e alla delibera di sgombero forzato datata 11 settembre 2013». Entrambe le ordinanze farebbero riferimento ai box commerciali ubicati in Piazza Mercato di Pizzo (la famosa “Piazzetta”) di proprietà del Comune ma abusivamente occupati e sui quali membri della famiglia Mazzotta avrebbero effettuato opere edilizie senza averne titolo.
LA VICENDA “MOCAMBO” Ma per Callipo, nella sua qualità di sindaco di Pizzo, c’è anche l’accusa di essersi procurato, «in conflitto di interessi e in violazione del dovere di astensione un ingiusto vantaggio patrimoniale» con riferimento alla struttura turistico alberghiera denominata “Il Mocambo”, «omettendo di compiere qualsiasi atto amministrativo che potesse dare effettivo e concreto esisto a un’ordinanza di revoca all’autorizzazione di somministrazione di alimenti e bevande e di affittacamere»: secondo gli inquirenti, Callipo e un altro indagato, in qualità di socio e amministratore unico della società “C.T.S. Costruzioni Sud spa” avrebbero acquisito, mediante procedura fallimentare per l’importo di 819mila euro», l’immobile relativo» ma alla luce di un accordo tra tutte le parti in causa, si consentiva «senza soluzione di continuità» la prosecuzione della gestione del “Mocambo” a un’altra società di interesse della cosca Razionale-Gasparro. (acant)
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