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RINASCITA | Le mani del clan Mancuso sul Santuario di Natuzza

Il clan di Limbadi si interessava alla realizzazione della struttura ecclesiastica sognata dalla mistica di Paravati. Dall’inchiesta della Distrettuale catanzarese emerge il ruolo della società Fid…

Pubblicato il: 21/12/2019 – 11:45
RINASCITA | Le mani del clan Mancuso sul Santuario di Natuzza

di Giorgio Curcio
VIBO VALENTIA Le cosche della ‘ndrangheta di Limbadi, da tempo, avevano messo le mani sul settore edile e delle costruzioni nel Vibonese, territorio “controllato” dalla potente famiglia Mancuso. Attività redditizie e portate avanti grazie alla collaborazione con alcuni imprenditori, fra i quali Francesco Naso. L’uomo, finito ai domiciliari in seguito all’operazione “Rinascita”, è noto anche come “Don Ciccio” o il “Cavaliere”. Sarebbe lui – scrivono gli investigatori – l’imprenditore di fiducia della cosca, operativo nel campo del cemento e a disposizione del clan, attraverso il boss, Luigi Mancuso. Un controllo capillare del territorio attraverso un vero e proprio monopolio che non avrebbe lasciato spazio ad altri imprenditori.
Secondo quanto emerso dall’inchiesta “Rinascita”, infatti, Francesco Naso sarebbe stato l’amministratore formale di alcune aziende cruciali per le attività dei clan come la “C&C srl” – con sede a Limbadi – formalmente intestata ad Isabella Preiti e al figlio Gregorio e la “Naso costruzioni srl” – con sede a Nicotera – le cui quote erano detenute al 25% dai quattro figli di Naso, ovvero Maria Teresa (rappresentante legale), Giuseppe Gregorio, Antonella e Domenico, attraverso le quali proprio “Ciccio” Naso si occupava materialmente degli appalti estromettendo la concorrenza, imponendo i propri metodi mafiosi.
IL “CAVALIERE” CICCIO NASO «Qua c’è una ditta c’è un’impresa, c’è Ciccio Naso e il cemento lo deve gettare lui…», questo quanto captato in un’intercettazione il 25 agosto del 2016 dalle forze dell’ordine. Naso – forte dell’appoggio dei Mancuso – dominava il mercato del cemento. Una posizione che aveva però minato i rapporti con la “concorrenza” e in particolare con Salvatore Contartese, “colpevole” di aver affidato alcuni lavori commissionati dal cugino (Saverio Manti) al suo “compare”, Domenico Prestanicola. Da parte sua, lo stesso Contartese, lamentava come Ciccio Naso, in occasione di alcuni lavori di trivellazione dei pozzi “da Pippo Caffo”, avesse affidato tutto ad un’azienda di Lamezia Terme, la Trivel Sud di Antonio Talarico.
Per ripianare i dissidi fra i due è intervenuto “Zio” Luigi Mancuso, attraverso la mediazione di Pasquale Gallone. A spartirsi i lavori – così com’è emerso nelle carte dell’inchiesta – erano perciò le aziende locali e solo dopo l’autorizzazione del clan Mancuso. Un contesto ben definito all’interno del quale si inserisce un’altra azienda gestita di fatto dallo stesso Naso e contigua – secondo gli investigatori – al clan Mancuso e in particolare a Pantaleone Mancuso “Scarpuni” e Cosmo Michele Mancuso. È la Fidas sas, alla quale era stata affidata la realizzazione sia del villaggio turistico “Beach Village-Ventaclub” a Nicotera Marina, in corso di esecuzione, sia la costruzione della Chiesa da realizzare nel comprensorio di Paravati, che sarebbe iniziata da lì a breve, prima dell’interdittiva antimafia notificata nel 2013.
I MANCUSO E IL SANTUARIO DI PARAVATI Già perché il potente clan dei Mancuso aveva messo gli occhi (e le mani) sulla realizzazione del Santuario per la Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime di Paravati, l’ambizioso progetto sognato dalla mistica Natuzza e che valeva centinaia di migliaia di euro. L’ingerenza della Fidas nella realizzazione del santuario è documentata già a partire dal 2003.
Ipotesi investigative confermate attraverso le dichiarazioni di padre Michele Cordiano – sacerdote del Santuario di Paravati – rese agli investigatori il 27 marzo del 2004: «Nel mese di giugno, afferma, ho ricevuto la visita di Pantaleone Mancuso per suggerirmi, qualora ci fosse stata necessita di calcestruzzo, il nominativo di tale Francesco Naso di Limbadi». «Io – continua don Michele Cordiano – non avevo mai sentito parlare di tale persona, anche perché io per i lavori precedenti di poca entità mi ero rivolto ad altri fornitori». Ed effettivamente – così come appurato dagli inquirenti – la ditta Mirarchi Antonio e fratelli, una volta vinto l’appalto su indicazione di Cordiano si sarebbero poi rivolti alla ditta indicata da Pantaleone Mancuso (quella di Ciccio Naso ndr), la quale ha fornito tutto il calcestruzzo impiegato nella costruzione fino ad oggi. (redazione@corrierecal.it)

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