di Maria Rita Galati
CATANZARO Maila ha 16 anni e un sorriso luminoso che si alimenta dell’amore immenso di mamma Nila, papà Francesco e la sorellina Martina. La voglia di vivere spinge la sedia a rotelle su cui è costretta a causa della disabilità verso confini lontani, perché “nella vita, davanti alle difficoltà, non bisogna mai perdere la speranza”. Di Maila, una guerriera che sfida ogni giorno la quotidianità, delle montagne scalate per raggiungere la vetta, tra dolori e gioie, tra ingressi e dimissioni dall’ospedale, sempre avvolti dalla solidarietà e dalla potenza della fede, Nila Ricciardi parla nel libro “Imprevedibile mistero. La persona oltre la disabilità”, che ha scritto aprendo i cassetti del cuore e della mente pieni di pensieri ed emozioni, ed è stato presentato nei giorni scorsi all’Auditorium “Sancti Petri”, all’interno del Palazzo Arcivescovile di Catanzaro, alla presenza del dottor Maurizio Sabbadini, neuropsichiatra all’ospedale Bambin Gesù di Roma; del dottor Cesare Ranieri, specialista in medicina Fisica e Riabilitativa dei sacerdoti don Francesco Cristofaro e don Massimo Cardamone, e di monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo della Diocesi di Catanzaro-Squillace che ha rivolto il proprio saluto al numeroso pubblico. A moderare la presentazione, Umberto Mancini. “Imprevedibile Mistero” è scritto a otto mani, è un lavoro intenso e coinvolgente, frutto della scelta di raccogliere l’invito del professor Colletti a offrire la loro testimonianza a tutte quelle famiglie che vivono la medesima situazione: narra la vicenda biografica della Famiglia Ricca, raccontata attraverso la storia di Maila, figlia primogenita e nata prematuramente alla venticinquesima settimana di gestazione, costretta fin dal primo istante della propria esistenza a dover combattere per sopravvivere. Oggi Maila, ragazza sedicenne, continua a lottare affinché quella parte di mondo cieco e indifferente, che al massimo guarda con pietismo alle persone come lei e le loro famiglie, divenga capace di scorgere la persona che vive quella condizione di disabilità. Ecco spiegato il senso del sottotitolo: “La persona oltre la disabilità”, che il don Massimo Cardamone – che è stato vicino ai Racca da parroco della Chiesa del Carmine di Catanzaro – ha tentato d’illustrare nella postfazione, in cui commenta la vicenda biografica della famiglia Ricca, come possibile paradigma per situazioni simili. In occasione della presentazione del libro, la cui stampa è stata possibile grazie al fattivo contributo di Francesco Trebisonda, Manager e Direttore Commericiale Aon spa, è stato lanciato il progetto “Stanze di accoglienza”, che si desidera realizzare negli oratori parrocchiali con i proventi ricavati dalla distribuzione e diffusione del libro, che vuole essere uno strumento che riesca a creare una rete di solidarietà e d’integrazione delle persone con disabilità. “Fin dall’inizio di questa avventura si è scelto di percorrere la linea evangelica della gratuita, affinché il volume possa essere uno strumento di operosa carità – ha spiegato don Massimo -. Infatti, richiedere il libro dovrà significare contribuire fattivamente alla realizzazione del progetto e agli obiettivi preposti”. “Non abbiamo voluto un editore – ha spiegato Nila Ricciardi – l’offerta è libera. Il nostro intento è di devolvere il ricavato per creare delle stanze di accoglienza negli oratori delle nostre chiese e dare la possibilità ai ragazzi di avere un punto di riferimento. Ho scritto questo libro per il desiderio di liberarmi dal peso di un evento traumatico. Dopo averlo somatizzato e fatto proprio capisci che il dolore spesso non è una sconfitta, ma è una occasione di riscatto. Il mio intento è quello di trasmettere un messaggio di speranza a chi si trova in una situazione simile alla nostra. E dico proprio simile perché medici e amici ci hanno insegnato che non si fanno paragoni perché ogni situazione è unica e irripetibile”. Monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace, ha voluto condividere con l’aula gremita la storia di Gioia Turoldo, giovane colpita da malattia degenerativa, come messaggio di speranza ed ottimismo tramandato attraverso la poesia. “Parlare e vivere la sofferenza sono cose diverse – ha detto – la sofferenza è mistero, e mistero resta: la cosa più eloquente è Gesù in croce, aiutando chi soffre condividiamo e incontriamo Dio fatto uomo”. La diversità richiama il concetto di integrazione, e si accompagna ad implicazioni psicologiche come il senso di colpa: la disabilità come conseguenza per comportamenti sbagliati. “Una elaborazione del lutto – spiega Maurizio Sabbadini – il percorso della fragilità è simile ma quello che resta insormontabile è il problema delle barriere. Siamo tutti diversi, ma dobbiamo avere tutti le stesse possibilità”. E del resto, proprio Maila scrive: “Mi sento diversamente uguale a voi, poiché se fossi uguale a voi, diversamente non sarei unica. Cesare Ranieri, è un dottore speciale per Maila, perché specialista in medicina Fisica e Riabilitativa, e la segue ogni giorno, accompagnandola in un percorso di riabilitazione dello spirito, oltre che del corpo. Lo fa anche lui con il sorriso, trasmettendo serenità mettendo a frutto quella che definisce la terapia migliore: l’ascolto. “Noi medici abbiamo bisogno di capire ed ascoltare, il sostegno e il supporto sono necessari – dice ancora -. Ma la vera linea guida è la famiglia”. Don Francesco Cristofaro si rivede in Maila e nella sua storia fatta di lotte quotidiane per l’integrazione e “l’inclusione significa giocare insieme, ognuno con le proprie capacità”. Perché don Francesco è disabile e ha lottato per farsi accettare, e accettarsi. Una battaglia vinta solo nell’incontro con Dio che lo ha voluto sacerdote, diventando anche testimone con le continue lotte e denunce per l’inadeguatezza infrastrutturale di luoghi pubblici o la reiterata occupazione dei parcheggi riservati, di come si può vivere con positività e speranza, oltre il pessimismo. “Volevo dirvi che nella vita bisogna essere forti e non perdere mai la speranza – dice Maila salutando e ringraziando quanti hanno voluto vivere questo momento -. Mi sento uguale agli altri e quello che chiedo e che gli altri mi vedano uguali a loro. Infatti, a farmi stare male non è la mia condizione ma l’atteggiamento di alcune persone che mi ferisce e mi fa sentire diversa da loro. Ho tanta voglia di vivere la mia vita oltre la disabilità”.
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