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«La storia e il metodo di Callipo possono fare la differenza»

Intervista al deputato dem Antonio Viscomi. «La vera novità politica sono le liste del Pd. Storico l’annuncio del candidato governatore di non trattenere per sé alcuna delega». L’ultima esperienza …

Pubblicato il: 07/01/2020 – 10:47
«La storia e il metodo di Callipo possono fare la differenza»

CATANZARO Non tutto è uguale, nel mare della politica calabrese. E le spinte all’astensionismo possono essere frenate dagli «elementi di novità» offerti dalle candidature del centrosinistra. E poi dalla «storia professionale» dal «metodo di lavoro» di Pippo Callipo. Il deputato del Partito democratico Antonio Viscomi analizza il breve tratto percorso sulla strada che porterà al voto del 26 gennaio.
Tra cambi di casacca improvvisi e professionisti della poltrona, la politica calabrese sembra immutabile. Crede che in questa brevissima campagna elettorale ci sia qualche elemento di novità o trionferanno i soliti noti?
«Il primo e vero elemento di novità è dato proprio dalle liste del Partito Democratico, liste segnate da una equilibrata integrazione tra buone esperienze già consolidate, affiancate ora a molti volti nuovi, a candidati che non vivono di politica, con competenze professionali diversificate, in sinergia con il mondo associativo e delle rappresentanze sociali, testimoni della lotta al malaffare. Questo segna una proposta politica evidentemente innovativa, in cui la credibilità, la competenza e la coerenza dei candidati sono valori di riferimento senza più inseguire soltanto le tessere e i pacchetti di voto organizzati. Comunque vada a finire, nessuno potrà dubitare del coraggio innovativo di Nicola Zingaretti. Inoltre, questa circostanza deve essere letta congiuntamente all’altro essenziale elemento di novità: la candidatura a presidente di Pippo Callipo. La storia personale e professionale di Callipo, le ragioni da lui poste a base della scelta di candidarsi, il suo metodo di lavoro stanno suscitando notevole attenzione nei cittadini calabresi e stanno anche rompendo in modo evidente alcuni recinti tradizionali. A mia memoria, credo che mai un candidato presidente abbia promesso di non trattenere per sé alcuna delega. Pippo Callipo lo sta invece ripetendo più volte, sottolineando sempre come il successo di una impresa sia sempre il risultato di un gioco di squadra. Un gioco di squadra che in politica e in amministrazione è proclamato troppo spesso, ma è praticato troppo poco».
Un po’ tutti gli osservatori si aspettano una bassissima affluenza alle urne. Di certo i risultati di 50 anni di regionalismo non sono esaltanti, ma c’è anche una tendenza a descrivere tutto l’arco politico come un magma indistinto. Questa rappresentazione vale anche per le prossime Regionali?  
«80, 60, 40 per cento: questa, più o meno, è la linea di declino della partecipazione elettorale nelle ultime tre elezioni regionali. I motivi di questo rifiuto di partecipazione sono molteplici e diversificati, e richiederebbero una riflessione ben più approfondita. Per restare alla domanda, mi limito a suggerire tre piste di riflessione. La prima: il regionalismo come fino ad ora conosciuto e praticato è fallito e va ripensato radicalmente, nelle sue strutture istituzionali e nelle funzioni amministrative. La seconda: c’è una antipolitica rabbiosa e autoritaria che cerca l’uomo forte che non deve tenere conto delle mediazioni democratiche, e il Censis l’ha evidenziato nel rapporto ultimo, ma c’è anche una disaffezione dalla politica, una fuga dall’impegno e dalla partecipazione che nasce dalla ricerca non soddisfatta di buona politica. A questo bisogno vuole rispondere l’innovazione del progetto politico del Partito Democratico della quale parlavo prima. Infine, la terza: come diceva qualcuno, le rivoluzioni si fanno in piazza, ma i cambiamenti nella cabina elettorale. Per cambiare bisogna partecipare, esserci, votare».
Lo schema seguito nel centrosinistra nel percorso di avvicinamento alle urne è stato quantomeno accidentato: scontri furiosi e poi una riconciliazione a pochi giorni dalla presentazione delle candidature. Crede che questi contrasti possano aver lasciato una traccia negativa nell’elettorato?
«Gli schemi si disegnano sulle lavagne. Nella vita si seguono percorsi, sentieri non sempre ben tracciati, spesso tortuosi. E ciò vale a maggior ragione nella vita politica, segnata dalla continua ricerca della sintesi tra posizione diverse. Certo, se si fosse accolto per tempo l’invito della segreteria nazionale avremmo potuto raggiungere lo stesso risultato o anche un risultato migliore e avremmo potuto raggiungerlo in tempo utile per poterlo condividere con gli elettori in modo diffuso e non solo nel brevissimo tempo di una campagna elettorale. Spero a questo punto che gli elettori guardino al risultato comunque raggiunto ed apprezzino fino in fondo la capacità del Partito Democratico di tenere ferma la direzione di marcia: innovazione, competenza, legalità».
Cosa salverebbe dell’ultima esperienza di governo regionale e cosa, invece, sulla scorta degli errori commessi, consiglierebbe a Callipo dopo un’eventuale elezione?
«Pippo Callipo conosce bene la fatica e la pazienza necessarie per portare una impresa locale al successo globale e sono sicuro che porterà in regione quello stesso spirito imprenditoriale. Non credo che abbia bisogno di altri suggerimenti. Sicuramente non cadrà nell’errore storico di questa regione: di ritenere che ciò che è stato fatto prima sia tutto da rifare. Semmai sono da riprendere una serie di azioni e di percorsi amministrativi avviati e forse troppo presto interrotti o trascurati. Penso, ad esempio, alla regolarità nelle relazioni sindacali con il personale, essenziali per governare una macchina complessa come quella regionale, ad azioni di razionalizzazione radicale della spesa, a partire dai fitti passivi e dalle spese per consumi intermedi, alla riorganizzazione della macchina amministrativa, alle ridefinizione degli assetti delle società partecipate, all’aggressione della spesa sanitaria e per la mobilità sanitaria in particolare, alla creazione di una agenzia per la difesa del suolo che accorpi competenze frammentate, alla promozione delle fusioni tra enti locali e così via».
Callipo era uno dei candidati indicati dal Movimento Cinquestelle per incarnare un progetto di rinnovamento. Perché crede che il M5S non si sia avvicinato al centrosinistra dopo la discesa in campo dell’imprenditore? Sarebbe stato possibile, o auspicabile, andare al voto con una coalizione più ampia? 
«La mia posizione su questo punto è stata chiara fin dall’inizio, anche quando ancora era incerto l’accordo governativo. E per quanto mi è stato possibile ho condiviso con colleghi del Movimento la necessità di uno sforzo comune anche in sede elettorale, partendo da problemi concreti e non da pregiudiziali ideologiche. Mi pare tuttavia che il Movimento sia attraversato oggi da dinamismi complicati nella transizione da forza di opposizione a forza di governo e nella definizione di una chiara linea politica su questioni essenziali per la vita dei singoli e della collettività».
Infuriano ancora le polemiche, all’interno della magistratura e nella società civile, dopo l’operazione “Rinascita” della Dda di Catanzaro. Perché in Calabria ci si divide anche sulla legalità e la lotta alla ‘ndrangheta?
«Ho letto dalla prima all’ultima pagina l’ordinanza sulla richiesta di applicazione di misure cautelare firmata dal Gip del Tribunale di Catanzaro. Dal Gip, ripeto, e non dal Procuratore. A prescindere dai fatti considerati penalmente rilevanti, che sono ora materia di interesse per giudici e avvocati, viene fuori, dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali, uno spaccato della vita politica e amministrativa su cui ragionare a fondo. È come se si fosse perso il senso etico della funzione pubblica, come se fosse venuta meno la consapevolezza che certe cose non si fanno, perché non devono essere fatte, punto e basta. Per fortuna non tutto è così e non tutti operano così. Ma la rigenerazione della politica può nascere solo da una riscoperta del senso etico della funzione pubblica. “Potere” per un politico, per un amministratore, deve tornare a essere un verbo, e non più un sostantivo. Un servizio per il bene comune, non un posto da occupare nell’interesse proprio o della propria famiglia. E su questo credo che si possa e si debba tutti convenire. Per questo, legalità, trasparenza ed eticità fanno parte integrante del discorso politico e rappresentano condizioni essenziali per realizzare politiche pubbliche nell’interesse di tutti e non di pochi amici, o amici degli amici. Se posso, vorrei chiudere, nel giorno anniversario del suo assassinio, con alcune parole di Piersanti Mattarella: “Nella classe dirigente non solo politica, ma pure economica e finanziaria, si affermano comportamenti individuali e collettivi che favoriscono la mafia. Bisogna intervenire per eliminare quanto a livello pubblico, attraverso intermediazioni e parassitismi, ha fatto e fa proliferare la mafia”». (ppp)

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