PALMI È partito tutto dalla denuncia di un bracciante senegalese contro un caporale ghanese, il 18 luglio 2018. Dopo un anno e mezzo di indagini sono arrivate 29 ordinanze di custodia cautelare emesse contro caporali e titolari di aziende agricole dal gip su richiesta del procuratore della Repubblica di Palmi Ottavio Sferlazza.
«ASSENZA DI SCELTE POLITICHE» Una storia di quotidiano sfruttamento nell’inferno delle baraccopoli. Lo dice che il procuratore, chiamando in causa la politica. «C’è compiacimento – spiega – per un’operazione che ha posto fine ad un fenomeno terribile di sfruttamento. Rimane però l’amarezza di dovere prendere atto ancora una volta della funzione supplente che la magistratura svolge e registriamo l’assenza di scelte politiche che dovrebbero risolvere e prevenire questi fenomeni assicurando a questa gente condizioni di vita dignitose che potrebbero esporli a minori pericoli».
«Si è trattato di un’operazione importante – ha aggiunto Sferlazza – perché ha consentito di assicurare alla giustizia personaggi senza scrupoli, sia caporali di origine africana sia datori di lavoro titolari di aziende agricole nella piana di Gioia Tauro. C’è compiacimento per un’operazione che ha consentito di smantellare questa struttura che sfruttava persone che già si trovano in una situazione di estremo disagio sociale e emarginazione».
«A distanza di anni, dopo i morti che ci sono stati nelle varie tendopoli e baraccopoli per gli incendi a tutti noti – ha concluso il procuratore di Palmi – purtroppo dobbiamo registrare che questo fenomeno di sfruttamento continua, sicuramente alimentato e favorito dalla situazione di degrado in cui questa gente continua a vivere ormai da anni».
OPERAZIONE “EUNO” L’operazione, denominata “Euno” dal nome dello schiavo siciliano che nel 136 a.C. guidò la prima guerra servile contro il possidente terriero Damofilo, è giunta a conclusione di indagini condotte dai carabinieri della Stazione di San Ferdinando e della Compagnia di Gioia Tauro, col supporto del Nucleo ispettorato del lavoro di Reggio Calabria e scaturite da una denuncia presentata da un bracciante senegalese nei confronti di un caporale di nazionalità ghanese.
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SONO 18 I CAPORALI ARRESTATI Sono 18 complessivamente i caporali arrestati: di questi 13 sono finiti in carcere, 3 all’obbligo di dimora e per 2 è stato disposto l’obbligo di presentazione. Sono cittadini extracomunitari di origine centrafricana che all’epoca dei fatti erano domiciliati nella baraccopoli di San Ferdinando e nel Comune di Rosarno. Undici, invece, gli imprenditori agricoli coinvolti nell’inchiesta. Per loro il gip ha ordinato 7 arresti domiciliari, 2 obblighi di dimora, un divieto di dimora e un obbligo di presentazione. Oltre che di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, gli indagati sono accusati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione e detenzione ai fini di spaccio di marijuana. La filiera dello sfruttamento è stata ricostruita dai magistrati grazie a intercettazioni e riprese video. Il cuore era la baraccopoli, da dove – all’alba – iniziava il reclutamento dei braccianti. I caporali li raccoglievano e trasportavano nelle aziende impegnate nella raccolta degli agrumi. Finivano stipati nei furgoncini che al mattino presto si incrociano nelle strade della Piana di Gioia Tauro. Trasportati come bestiame. Nei furgoni, omologati per il trasporto di non più di 9 passeggeri compreso il conducente, i caporali riuscivano a caricare sino a 15 persone, costringendo i braccianti, già provati dalle scarse condizioni di vita all’interno della baraccopoli, a trovare posto su sedili di fortuna realizzati con tavole in legno, secchi di plastica, cassette per la raccolta e pneumatici usati di autoveicoli.
IMPRESE SEQUESTRATE Arrivati nelle campagne, iniziava il resto dell’infermo: al lavoro per sette giorni su sette, un euro per ogni cassetta di arance o mandarini raccolta. Due o tre euro per ogni ora di lavoro. Il gip ha disposto anche il sequestro preventivo di tre attività imprenditoriali a Polistena, Rizziconi e Laureana di Borrello e di 18 beni mobili per un valore di oltre 1 milione di euro. Nel corso delle indagini è emerso, inoltre, che alcune donne nigeriane erano costrette a prostituirsi nel ghetto da un cittadino liberiano. Quest’ultimo si occupava di trasportare le donne da Rosarno verso la baraccopoli di San Ferdinando e il campo container di Rosarno dove erano costrette a prostituirsi ed a cedere successivamente parte del ricavato al loro sfruttatore.
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