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Revocati i domiciliari al nipote “faccendiere” di Giamborino



Torna in libertà Filippo Valia accusato di traffico di influenze illecite. Secondo l’accusa lui, Giamborino, Capizzi e Adamo avrebbero cercato di influenzare una sentenza del Tar

Pubblicato il: 08/01/2020 – 20:28
Revocati i domiciliari al nipote “faccendiere” di Giamborino



CATANZARO Il gip Barbara Saccà ha revocato la misura degli arresti domiciliari nei confronti di Filippo Valia, 37 anni, di Vibo Valentia, accusato di traffico di influenze illecite aggravato dalla agevolazione mafiosa a favore del locale di Piscopio in concorso com l’ex consigliere regionale Pietro Giamborino, l’imprenditore Giovanni Capizzi e l’ex parlamentare dem Nicola Adamo. Il gip ha accolto l’istanza presentata dall’avvocato Anselmo Torchia, difensore dell’indagato. Secondo l’accusa Giuseppe Capizzi, imprenditore siciliano, amministratore unico del Consorzio Stabile Progettisti Costruttori, aveva un ricorso davanti al Tar Calabria per l’aggiudicazione dei lavori di messa in sicurezza dei versanti Affaccio-Cancello Rosso-Piscopio-Triparni ex tracciato Ferrovie Calabro Lucane e Longobardi – Comune di Vibo Valentia. Capizzi avrebbe chiesto a Pietro Giamborino, indagato per associazione mafiosa, di attivarsi al fine di influenzare illecitamente il corso della causa. Ad agevolare i contatti tra Giamborino e Capizzi sarebbe intervenuto Filippo Valia, nipote di Giamborino. Valia acquisiva da Capizzi la documentazione che lo zio di volta in volta richiedeva. Infine Giamborino, «amico di lunga data di Nicola Adamo» avrebbe interpellato l’ex parlamentare affinché si attivasse nel Tar sfruttando la conoscenza di un giudice della seconda sezione del Tribunale amministrativo regionale affinché questo sostenesse la posizione di Capizzi. Giamborino, destinatario di misura cautelare in carcere, è un ex consigliere regionale, ritenuto formalmente affiliato alla locale di Piscopio e avrebbe intessuto legami con alcuni dei più importanti appartenenti alla ‘ndrangheta vibonese per garantirsi voti ed appoggi necessari alla sua ascesa politica. Secondo l’accusa sarebbe divenuto uno stabile collegamento dell’associazione mafiosa con al politica calabrese, funzionale alla concessione illecita di appalti pubblici e di posti di lavoro per affiliati o soggetti comunque contigui alla consorteria. In questo clima e con queste promesse Giamborino e gli altri indagati si sarebbero rivolti ad Adamo e, si legge nell’ordinanza, «indebitamente promettevano a Nicola Adamo (che accettava la proposta) la corresponsione della somma di 50.000 euro come prezzo della sua mediazione illecita sia verso il giudice – si legge nell’ordinanza –. Con l’aggravante, per Pietro Giamborino, di avere commesso il reato al fine di agevolare e rafforzare il sodalizio ‘ndranghetistico (con particolare riferimento alla articolazione denominata “Locale di Piscopio”), aumentando l’autorevolezza ed il prestigio di quest’ultimo, specie nei rapporti con le consorterie rivali, anche per l’aspettativa di favoritismi da parte della amministrazione pubblica e giudiziaria, in ragione dell’instaurazione e/o consolidamento di relazioni con esponenti istituzionali di primo piano». I fatti risalgono al 2018.
 
 

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