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«Quanto sono spontanee le Sardine?»

di Antonino Mazza Laboccetta*

Pubblicato il: 09/01/2020 – 12:45
«Quanto sono spontanee le Sardine?»

Irrompono sulla piazza, e non possono non sollevare un interrogativo, che in sé tanti ne racchiude: le Sardine sono espressione di antipolitica o sono espressione (di forme nuove) di politica? In un contesto caratterizzato dalla fragilità dei tradizionali partiti, dalla crisi dei corpi intermedi, dalla frantumazione sociale, dalla mobilità dell’elettorato, le pulsioni, le istanze, gli interessi che il sistema politico non riesce ad assorbire trovano naturale sbocco nella piazza, ora in forme violente (vedi in Francia) ora in forme pacifiche (così si presenta il fenomeno delle Sardine in Italia). La virulenza delle manifestazioni spesso è inversamente proporzionale al grado di rigidità della risposta politica. È assodato che gli attuali partiti non svolgono più il ruolo un tempo definito «cinghia di trasmissione». Era il tempo in cui il partito politico rappresentava strutturalmente il punto di riferimento di una determinata componente sociale e, proprio perché lo rappresentava strutturalmente, costituiva un potente argine al movimentismo e alla mobilità o, che dir si voglia, liquidità dell’elettorato, che caratterizzano i tempi nuovi. Certo, non può non rammentarsi che la piazza ha avuto un’importante tradizione, anche nel nostro Paese, esprimendo quella che per Gaetano Mosca costituiva una costante di tutti i tempi: il rapporto tra i governati e i governanti, gli uni ineluttabilmente più numerosi degli altri.
Detto questo, per venire alla domanda che ci siamo posti, non possiamo non ripercorrere il momento, per così dire, fondativo delle Sardine. Appaiono sulla piazza in maniera silenziosa e pacifica, contrapponendosi alle politiche salviniane, contrapponendo cioè un “messaggio-contro”. Ad un consenso costruito da Salvini sostanzialmente «contro» l’immigrazione (peraltro in un momento in cui le politiche migratorie – leggi pure: gli accordi del ministro Minniti con i capitribù libici – avevano ormai arrestato le ondate migratorie), le Sardine contrappongono un altro messaggio «contro». Utile quanto si vuole, ma, ad un’analisi non emotiva, pur sempre messaggio semplicistico è, in un momento in cui occorre recuperare l’idea della complessità della politica e del governare.
Se non può negarsi che tutte le mobilitazioni che muovono dal basso sono espressione di “politica”, è vero, però, che va tenuta alta la soglia dell’attenzione, perché è facile, specie in questo momento storico, che le forme di espressione politica che vengono dal basso trasmodino nell’antipolitica, o in quello che possiamo definire populismo, veicolo di messaggi velleitari e semplicistici, di destra o di sinistra che siano. Va tenuta alta la soglia dell’attenzione – dicevamo – perché la politica è anche (direi pure: soprattutto) azione di governo, che ha tempi diversi e più lunghi di quelli che impongono le pressioni provenienti dalle piazze. La politica è azione lungimirante, azione di lungo corso che raccoglie sì le pulsioni, le istanze e gli interessi che vengono dal basso, ma deve pur saper e poter imprimere loro una direzione che non si faccia ingabbiare dalla ricerca del consenso immediato e, quindi, nella costruzione di obiettivi di breve termine. Discutiamo pure di Ilva, di Alitalia, di Autostrade! Cose importanti, certamente strategiche per il nostro Paese, che non possono essere gettate nel tritacarne della propaganda, come purtroppo si è costretti a registrare. Ma qual è la “politica industriale” che vuole costruire il nostro Paese? Abbiamo, in definitiva, perso i sistemi valoriali di riferimento: chiamateli pure ideologie. Sono però quelle ideologie che, dopo la seconda guerra mondiale, hanno dato visione e progetto al nostro Paese, garantito la tenuta del sistema sociale, conferito autorevolezza ai leader politici e alla politica.
Il messaggio anti-salviniano che ha caratterizzato la pacifica esplosione iniziale delle Sardine sembra essere evoluto successivamente in una direzione più propositiva e costruttiva, forse meno emotiva, ma pur sempre embrionale e prepolitica, scandita da messaggi troppo generici per passare alla dimensione politica. Certo è che le Sardine sono un’ulteriore manifestazione del deperimento della dimensione politica intesa come sistema valoriale solido (non liquido). E, in questo senso, proprio perché “manifestazione” del problema, non tutti i movimenti che esprimono antipolitica o populismo o critica antisistema sono il problema. Sono semmai il segnale del problema.
E il problema viene da lontano. Senza andare troppo in là nel tempo, la cultura libertaria del sessantotto ha innescato un’esplosione che, al netto dei suoi indubbi effetti positivi, ha acceso però una pretesa di autodeterminazione individuale che nel tempo si è spinta oltre il limite della necessaria protezione, fino ad intaccare il senso stesso del pubblico, della comunità: la stessa idea di Stato-comunità. La tensione all’autodeterminazione individuale ha via via sterilizzato la dimensione etica dei diritti individuali, facendone pura pretesa egoistica, ricerca di utilità immediate e di benessere consumistico. Una deriva relativistica che ha portato non solo alla caduta dei sistemi ideologici, ma anche alla secolarizzazione della società, facendo così vacillare anche la religione intesa come argine alla frantumazione valoriale. Se vissuta, la religione non a caso è in larga parte praticata in senso privatistico, come ricerca individuale e autonoma, esperimento (non di rado puramente emozionale) di nuove vie verso la spiritualità.
La dissoluzione della società nell’individualismo è stata celebrata negli anni di Thatcher e di Reagan. La società non esiste: esistono gli individui. Era il mantra dell’era liberista. Che ha rovesciato il concetto di bene comune inteso nel senso che, se la società funziona, ne trarranno beneficio tutti. La politica intesa come azione di governo fatica a stare dietro a tensioni, fenomeni, strategie politiche che ormai nascono fuori dai tradizionali canali della formazione del consenso: nei think tank, nelle società di marketing. Improvvise soggettività politico-mediatiche nascono, prendono le forme più disparate (pensiamo a Greta Thunberg, espressione di una lettura rivoluzionaria e palingenetica del valore ambientale, di cui la bambina non può che essere solo il volto) e irrompono in un agone rispetto al quale è difficile dare la tradizionale lettura destra-sinistra. Anche il volto di Mattia Santori, che raccoglie intorno a sé una quantità di persone “strette come le sardine”, è una soggettività politico-mediatica dei tempi nuovi che vuole sfidare Salvini in mare aperto. Troppo aperto. Tanto aperto da indurre a chiedersi quanto spontaneo sia il fenomeno. Lo si vedrà strada facendo. È presto per dire – con dati da discutere oggettivamente – se le Sardine si evolveranno in senso prettamente politico, se saranno mangiate per la loro strutturale fragilità, se sono solo espressione di sofisticate strategie.

*docente dell’università Mediterranea di Reggio Calabria

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