Cos’hanno in comune Luca Montersino, maestro pasticcere di fama internazionale, e Fabio Valenti, ergastolano da 25 anni fra le sbarre di un carcere? Gravitano in mondi paralleli: rutilante di successi e di sogni possibili quello di Montersino, sfibrante di passi senza speranza nel silenzio della notte che non passa quello di Valenti.
Il primo è nato a Torino, ha 46 anni, calca le scene della cucina più trendy in tv, quando non è in Italia è a New York o a Tokio ed ha ideato la prima pasticceria salutistica e alternativa italiana. “Non sono i dolci i nemici della salute – spiega – ma la qualità degli ingredienti e la scarsa attenzione per valori nutrizionali e calorici”. Il secondo è nato ad Alessandria della Rocca (Agrigento) e ha 50 anni, s’è fatto dieci anni di isolamento duro e, dopo aver viaggiato per vari istituti penitenziari, sta scontando l’ergastolo più lugubre (e contrario alla Costituzione) della “fine pena mai” nel carcere “Ugo Caridi” di Catanzaro diretto da Angela Paravati, una tosta funzionaria dello Stato che sdegna la pena inutilmente afflittiva e si è adoperata per avere un Laboratorio di pasticceria. Confida Valenti: «Ho iniziato a ricreare dolci pasticciando tra fornelli e farine. Volevo provare a risentire quei profumi che ormai da tempo non mi appartenevano più. Erano gli odori del forno di fronte il negozio di papà. Profumi che mi raccontavano di un’altra vita che mi sembrava perduta per sempre ed io volevo disperatamente tornare, anche per pochi istanti, a quello che avevo lasciato».
Distanti geograficamente e per storie di vita, galeotta la passione per la cucina dolciaria che in questo caso non centra nulla con i peccati di gola né coi peccatori che Dante caccia all’Inferno, i due finiscono per conoscersi, parlarsi. E cosi il blasonato chef pasticcere firma la prefazione al libro del detenuto appena pubblicato: “Dolcicreati” (Città del Sole – Edizioni, a cura di Ilaria Tirinato con nota introduttiva del Garante regionale per i diritti delle persone detenute Agostino Siviglia e postfazione del pedagogista Nicola Siciliani de Cumis).
Il calembour del titolo svela l’originalità di questo nuovo ricettario, mentre le due vispe bambole della copertina, Dolcina e Dolcetto, sono state realizzate in carcere. Valenti è diventato ergastolano pasticcere, con facoltà di uscite dal carcere per “creativamente” occuparsi di eventi importanti come l’inaugurazione dell’Anno accademico dell’Università Magna Grecia di Catanzaro,studiando sui libri di Montersino. Che commenta: «Sapendo che Fabio si è costruito addirittura la bilancia, gli stampi per i babà, e che ricava la farina di mandorle grattugiandole a una a una su una scatola di tonno forata, mi è tornato in mente il mio inizio carriera, confermando una delle teorie che sostengo da sempre: nella vita le cose basta volerle profondamente per poterle ottenere. Persino un Laboratorio di pasticceria in un carcere per esempio!». Sono i dolci, piuttosto che l’esortazione dei Vangeli a far visita ai carcerati, la molla di questo singolare scambio di esperienze pregno d’umanità.
Se Fabio ha appreso l’arte dal “professore di pasticceria” Luca Montersino di cui ha seguito tutte le trasmissioni televisive («I dolci li ho ricreati senza dimenticare i reati che hanno portato dolore nella mia esistenza a cui ho voluto dare un senso nuovo. E cosi ho provato a pasticciare e a rimescolare non solo farine ed ingredienti, ma anche sensazioni e pezzetti di giornate vissute…al fresco»), Luca ha imparato a conoscere l’universo dietro le sbarre da Fabio. Premettendo «di essere sempre stato poco tollerante verso chi ha commesso cose gravi», scrive Montersino nella prefazione, «ho sempre pensato: io ce la farei mai a perdonare una persona che magari ha toccato la mia famiglia?»
È la richiesta del suo contributo al libro che gli fa irrompere la curiosità verso un detenuto «che ha voglia di aggrapparsi a un mestiere per riempire le lunghe giornate dentro un carcere. Ho letto le ricette e le descrizioni, e si evince che si è formato sulle mie lezioni. Questo mi fa molto piacere e devo dire che mai avrei immaginato di essere utile nella vita di un detenuto. Grazie a Fabio mi sono avvicinato a un mondo che per me era sconosciuto».
Nato «per gioco, come una scommessa con me stesso» racconta Valenti, il cui primo forno in carcere era una doppia padella alta mentre una piccola asta di legno fungeva da bilancia, il libro ci delizia (gli occhi) con le creme pasticciere, le confetture di albicocche, il cioccolato fondente, la panna semimontata, il burro, le uova. E ogni ricetta, ben 50 (selezionate da un folto archivio), di qui il calembour del titolo, è associata a specifici reati del codice penale. I profiteroles con l’associazione a delinquere (art.416 c.p.), i cioccolatini alla calunnia (art.368 c.p.), i saccottini alla pesca con il favoreggiamento personale (art. 378 c.p.) e i cantucci all’abuso d’ufficio (art.323 c.p.). L’idea, suggerita dagli stessi detenuti che hanno fatto da consulenti a latere di Valenti e perfezionata dalla curatrice del volume, «mira a convertire i reati del codice in reati dolciari. Quasi a voler dire al lettore: io e i miei compagni siamo consapevoli delle realtà che ci hanno riguardato, al punto da trasformare ciò che è stato in qualcosa da cui prendere le distanze con serenità e ironia».
Un libro leggero, dove la leggerezza (secondo Nicola Siciliani de Cumis che cita Italo Calvino), è da intendersi come antidoto alla pietrificazione dei sentimenti. Che trascende se stesso. Significando che, aldilà delle leccornie e delle immagini “mangiami mangiami” che corredano le ricette, benché sulle prigioni l’indifferenza della società e dei decisori pubblici (stoltamente) regni sovrana, c’è tuttavia gente che si prende (a costo di sacrifici) la responsabilità di dare un senso alle pene. Ha affermato Angela Paravati nel corso della presentazione del libro (in carcere) a cui ha partecipato anche il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute Mauro Palma: «Nei confronti dei detenuti va realizzato un sistema di attività volto alla rieducazione e al reinserimento nel rispetto della persona umana. Con il mondo esterno che si mescola e si preoccupa di attuare, assieme a noi, le previsioni dell’articolo 27 della Costituzione». Ed è quanto sta accadendo all’ “Ugo Caridi”, un carcere con 700 detenuti, anche attraverso uova, farina e pan di Spagna.
*giornalista
x
x