di Pablo Petrasso
CATANZARO Tutta l’attività di Marco Petrini, presunta toga “sporca” della Corte d’Appello di Catanzaro, finirà sotto la lente d’ingrandimento della Procura di Salerno. I magistrati campani hanno, infatti, chiesto alla Guardia di finanza, di sequestrare “ogni documento relativo a cause civili, penali, tributarie riferibili a terze persone”. Un campionario vastissimo, al quale vanno aggiunti “documenti su qualsiasi supporto (comprese immagini e registrazioni di conversazioni) da cui evincere rapporti di conoscenza e frequentazione con i coindagati” e, ovviamente, gli atti relativi a una delle vicende nodali dell’inchiesta, il ricorso attraverso il quale l’ex consigliere Pino Tursi Prato ha cercato di riottenere il vitalizio che gli è stato negato dopo la condanna a 6 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Le sentenze, i pareri, i documenti saranno passati ai raggi X. Sia quelli per i quali le indagini hanno già previsto valutazione (il processo a carico di Antonio Saraco e Maurizio Gallelli, esponenti del clan Gallace-Gallelli-Saraco), sia altre “segnalazioni relative a cause penali, civili o tributarie”.
IL SISTEMA DELLA TOGA SPORCA Il dubbio dei magistrati campani è che il sistema – che, attraverso l’ex dirigente dell’Asp di Cosenza Emilio Santoro, minaccia campagne mediatiche contro i giudici non disponibili ad “allinearsi” – possa essere molto più esteso di quanto emerso finora. E che la metastasi della giustizia sporca possa aver contagiato altre sentenze, anche nella Commissione tributaria provinciale di cui Petrini era il presidente. D’altra parte, il gip di Salerno Giovanna Pacifico dipinge il “collega” catanzarese come un uomo in una “grave situazione di sofferenza finanziaria”. Una condizione che sarebbe “cronicizzata e assolutamente non ‘risolvibile’ nel breve periodo”. Petrini sarebbe “astretto dalla necessità di procurarsi la disponibilità (oltre che di altre utilità, come si è visto), soprattutto di somme di denaro in contanti, da non far transitare sui circuiti bancari”.
La propensione del giudice “ad accedere alle proposte corruttive” non si sarebbe fermata neppure davanti “alla pubblicazione sul giornale il Fatto Quotidiano, avvenuta nel gennaio 2019, di un articolo, riportante la notizia di indagini svolte dalla Procura di Salerno nei confronti di quindici magistrati del distretto di Catanzaro, nel quale vi era un espresso riferimento alla persona di Tursi Prato”.
Petrini&Co, anche dopo lo scandalo delle indagini per corruzione svolte alla Procura di Perugia sulle nomine al Csm (e le dimissioni di quattro componenti del Consiglio superiore della magistratura) avrebbero continuato ad alimentare il loro sistema, al massimo “limitandosi ad assumere una condotta più guardinga”.
Nel “sistema”, il magistrato “dispone di persone che all’occorrenza fungono da ‘prestanomi’ per l’occultamento dell’illecita provenienza dei beni costituenti il pretium sceleris dei delitti di corruzione”. E potrebbe inquinare le prove, specie alla luce dei prossimi step investigativi previsti dall’indagine.
LE PROSSIME MOSSE DEL PM Il pm Luca Masini, infatti, ha intenzione di sentire i magistrati componenti dei collegi giudicanti della Corte d’Appello di Catanzaro assegnatari dei procedimenti riguardanti Giuseppe Tursi Prato e Antonio Saraco. E poi di interrogare il presidente del cda della Bcc del Crotonese Ottavio Rizzuto (che avrebbe agevolato alcuni passaggi di denaro contante al magistrato arrestato) e Antonio Claudio Schiavone, commercialista coinvolto in alcuni dei presunti casi di sentenze aggiustate. Saranno sentiti anche gli impiegati della Bcc, i cancellieri e i segretari in servizio nella Corte d’Appelo di Catanzaro e nella Commissione tributaria provinciale del capoluogo. Il quadro, già sconfortante, va ancora chiarito. Il sistema va meglio specificato. Alla Corte d’Appello di Catanzaro, e non solo, saranno mesi caldissimi. (p.petrasso@corrierecal.it)
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