di Alessia Truzzolillo
CATANZARO Uomini con le mani in pasta, che tutti conoscono e tutti vogliono raggiungere, giudici, politici, persino il fratello di un boss del calibro di Nicolino Grande Aracri. Perché l’obbiettivo è il potere. Uomini che non si fidano dei compari che se la potrebbero cantare diventando dei «fiumi in piena».
Uomini intrecciati a doppio filo tra di loro come intrecciate sono le inchieste che vedono coinvolti i faccendieri che orbitano intorno agli uffici giudiziari di Catanzaro. Uffici dai quali è possibile che escano ordinanze di dissequestro in meno di 48 ore. Ma procediamo con ordine.
LA GENESI Ottavio Rizzuto, 71 anni, presidente della Bcc di Crotone è la pietra d’angolo di questa storia. È accusato di corruzione in atti giudiziari in concorso con Emilio Santoro, detto “Mario”, Il giudice Marco Petrini, l’imprenditore Luigi Falzetta e l’ex consigliere regionale Giuseppe Tursi Prato, detto Pino. Rizzuto è un anello di congiunzione. È stato tratto in arresto lo scorso 15 gennaio nel corso dell’operazione “Thomas” della Dda di Catanzaro, eseguita dagli uomini della Guardia di finanza di Crotone, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa perché avrebbe favorito, nelle varie mansioni di responsabile dell’ufficio tecnico del comune di Cutro e di presidente della Bcc di Crotone, alcuni membri della cosca Grande Aracri di Cutro. Sulle tracce di Rizzuto gli investigatori hanno trovato un nuovo, pesantissimo filone di indagine che entra, di filato, negli uffici della Corte d’Appello di Catanzaro e vede coinvolto il giudice Marco Petrini, presidente della seconda sezione della Corte d’Assise d’Appello. L’incartamento scottante è stato immediatamente inviato alla Dda di Salerno – Procura competente per i reati che riguardano i magistrati calabresi – che hanno affidato le indagini alle Fiamme gialle di Crotone. Lo stesso 15 gennaio a Ottavio Rizzuto, Marco Petrini, Tursi Prato, Santoro, Falzetta, Vincenzo Arcuri e Giuseppe Caligiuri è stata notificata, dal Tribunale di Salerno, un’ordinanza di custodia cautelare in carcere con l’accusa di corruzione in atti giudiziari in concorso. Un’avvocatessa, Maria Tassone, è finita ai domiciliari.
I fatti sono recentissimi e investono l’anno appena trascorso. L’11 aprile 2019 Emilio Santoro, detto “Mario” e Ottavio Rizzuto parlano della sentenza tanto attesa nei confronti di Pino Tursi Prato. È questo l’oggetto di uno dei capi di imputazione per corruzione, l’aver cercato di sfruttare l’influenza di Petrini per agevolare l’ex consigliere regionale a riottenere il vitalizio che gli era stato tolto in seguito a una condanna a sei anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Regalie e denaro sarebbero state consegnate a Petrini in cambio dei suoi favori. Nel corso della conversazione i due fanno riferimento alla loro comune appartenenza alla massoneria.
TRA MASSONERIA E OPUS DEI Rizzuto è curioso: «Ma Pino è fratello nostro? (inteso appartenente alla Massoneria)».
Santoro: «Sì».
Rizzuto: «Eh, va bene».
Santoro: «È dell’Opus dei, lui».
Rizzuto: «Uhm, uhm».
Santoro: «Apposta, hai capito no?».
Rizzuto: «Mariù, non ti preoccupare, ce la caviamo».
IL RUOLO DI SCHIAVONE Nel corso della stessa conversazione salta fuori il discorso relativo a un sequestro effettuato da parte della Dda di Catanzaro all’imprenditore di Lamezia Terme Salvatore Mazzei. «In merito – scrive il gip – il Santoro parla della somma ricevuta da Claudio Schiavone dallo stesso Mazzei. Secondo Santoro, Schiavone avrebbe «fregato più di 100mila euro”» a Mazzei».
Ora, Antonio Claudio Schiavone, 55 anni, è indagato in questa vicenda in quanto avrebbe fatto da tramite, attraverso il “faccendiere” Emilio Santoro, a sua volta legato al giudice Petrini, per tentare un’interferenza su un processo per mafia. Schiavone a marzo 2019 riferisce a Santoro che, «a seguito della riduzione della pena nei confronti di Maurizio Gallelli da 16 a 6 anni e dell’assoluzione di Antonio Saraco, la famiglia Saraco (con la quale Schiavone era socio in affari, ndr) avrebbe eseguito i pagamenti promessi». Questo vogliono ottenere i faccendieri: la riduzione per Gallelli e l’assoluzione per Saraco.
Il processo in questione è “Itaca Free Boat” istruito contro la locale di ‘ndrangheta di Guardavalle. In primo grado, l’11 ottobre 2017 Gallelli era stato condannato a 16 anni per associazione mafiosa e Antonio Saraco a 10 anni per estorsione. Nel corso dell’appello erano partite da parte di Francesco Saraco, figlio di Antonio, dazioni di denaro e regali vari da inviare al giudice Petrini affinché assumesse l’impegno di interferire nei confronti del collegio della Corte d’Appello che doveva giudicare la causa. Il tutto cade nel vuoto perché il 17 luglio 2019 vengono confermate le condanne nei confronti dei due imputati (lo abbiamo raccontato qui). Eppure a marzo 2019 Emilio Santoro e Claudio Schiavone pensano di poter decidere anche sullo sconto di pena da dare a Gallelli. “Sei, sei gli abbiamo detto”, dice Schiavone riferendosi agli anni da comminare a Maurizio Gallelli. Mentre Santoro era sicuro della scarcerazione «matematica» di Antonio Saraco. «Da tali conversazioni – scrive il gip – si stagliavano le figure del Santoro e dello Schiavone, non quali semplici commentatori “fuori scena” della vicenda bensì svolgendo il fondamentale ruolo di intermediari, per il quale ruolo avrebbero poi lucrato un compenso da parte dei beneficiari dell’operazione (Gallelli e Saraco)». «Ma ce li danno i soldi?», chiede Santoro. «Te lo garantisco io che te li danno – lo rassicura Schiavone –, quelli sono gente seria…». D’altrode Schiavone i Saraco li conosce bene visto che con Francesco Saraco è socio in affari, con quote rispettivamente al 25% e 5% nella “The Grand srl”, società con sede a Cosenza che si occupa di studi di fattibilità e impatto ambientale.
DISSEQUESTRO IN 48 ORE A sua volta Petrini – è scritto nel capo di imputazione per corruzione aggravata dalle modalità mafiose – aveva disposto un’ordinanza, di (parziale) dissequestro immobiliare disposto dal Tribunale delle misure di prevenzione di Catanzaro (su un patrimonio prima sequetrato e poi confiscato del valore di 30 milioni di euro) nei confronti dei beni della famiglia Saraco. L’istanza di revoca della confisca era stata depositata nella cancelleria della Corte d’Appello dall’avvocato Francesco Gambardella (cugino della moglie di Petrini) il 30 luglio 2018. Il dissequestro degli immobili è stato disposto con ordinanza del primo agosto 2018 da parte del collegio presieduto da Pretrini. Il gip di Salerno sottolinea «l’estrema rapidità con cui era stata assunta la decisione dalla sezione della Corte di Appello di Catanzaro, in composizione feriale, sull’ “istanza di revoca della confisca” presentata dall’avvocato Francesco Gambardella per conto dei propri assistiti».
«CI HA FREGATO 100 MILA EURO» Sempre riguardo alla vicenda “Itaca Free Boat” le indagini mettono in luce i rapporti intrattenuti da Claudio Schiavone con Santoro e Petrini. A febbraio 2019 viene intercettata una conversazione tra Santoro e Petrini nel corso della quale il primo raccontava al giudice che un tale Claudio «ci ha fregato 100mila euro in contanti». Petrini esterna la preoccupazione che non fosse stato fatto il proprio nome: «Ma ha fatto il mio nome?». «No, no», lo rassicura Santoro. «Ma sicuro che non ha fatto il mio nome?», chiede Petrini che poi afferma: «millanta… millanta». Secondo l’accusa non vi sono dubbi sul fatto che il Claudio citato nella conversazione fosse Schiavone, visti i rapporti frequentissimi con Santoro che spesso gli chiamava per chiedergli soldi in prestito o appuntamenti per incontrarsi. Tra l’altro le indagini sottolineano anche i «rapporti amicali (con visite reciproche presso le rispettive abitazioni)» con Domenico Grande Aracri, fratello del boss Nicolino Grande Aracri.
Più volte, però, Schiavone, nonostante lo stretto rapporto, avrebbe mandato Santoro su tutte le furie. Il 22 gennaio 2019 Santoro riferisce a un suo interlocutore non meglio identificato che «tale Claudio, a seguito di un favore che gli avrebbe fatto fare dal Petrini, avrebbe consegnato a quest’ultimo la somma di 150mila euro» mentre a Santoro avrebbe detto di avergliene dati 40mila. E comunque Claudio, come emerge da una conversazione di marzo 2019 tra Santoro e Tursi Prato, è considerato un elemento pericoloso perché se si fosse messo a parlare con gli inquirenti avrebbe potuto raccontare molte cose illecite a sua conoscenza. I due hanno paura che «se lo chiama qualcuno per sentirlo a coso… fiume in piena».
UN MILIONE DI EURO IN UN MURO Ma Schiavone non è solo un possibile fiume in piena, è anche un uomo che avrebbe i suoi piccoli e grandi segreti. Come un prestanome, un tale Gaetano, «intestatario fittizio di terreni situati a Isca sullo Ionio». Non solo. Intercettati, Santoro e Petrini parlano anche del fatto che Schiavone avesse la disponibilità di un milione di euro in contanti occultati in una muratura. Santoro, tanto per cambiare, parla male di Schiavone, dice che gli ha fregato dei soldi, parla male di lui e starebbe frequentando l’avvocato Saraco che è figlio di un delinquente. Questa conversazione avveniva a marzo 2019. A maggio 2019 a Lamezia Terme Santoro assicura i propri interlocutori (una donna che è presumibilmente la madre di Maurizio Gallelli e un uomo non meglio identificato) che «non ce ne sono problemi… lo faccio uscire (inteso assolvere Gallelli, imputato insieme a Saraco, ndr)». Vatti a fidare degli uomini con le mani in pasta. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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