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«Il new deal per la Calabria e la speranza di Callipo»

di Vito Teti*

Pubblicato il: 22/01/2020 – 19:04
«Il new deal per la Calabria e la speranza di Callipo»

Terra di bellezze e di rovine, amara e bella, dai grandi contrasti climatici. Terra dove ogni paese è una “nazione” (diceva Astolphe De Custine). Il 90 per cento di territorio montano e collinare e 800 km. Di costa: questo “contrasto” geografico e paesaggistico, che è anche un tratto della bellezza della Calabria, ha segnato nella lunga durata la storia, l’antropologia, le culture plurali delle popolazioni di Calabria. Lo spopolamento, l’abbandono, la desertificazione dei paesi e dei centri urbani, una grande crisi demografica, la fuga, per necessità, dei giovani costituiscono, forse, il problema principale della Calabria e di altre regioni d’Italia. Strettamente legato a questa questione è anche quella di un mancato e autentico, antico e recente, legame tra aree interne e marine, tra paesi e centri costieri, alcuni dei quali sono intasati soltanto in un breve periodo estivo e poi diventano non luoghi, vuoti, deserti, che conoscono anche processi di spopolamento.
Negli ultimi decenni quella che poteva essere la grande ricchezza, la diversità, la bellezza della Calabria è stata trasformata in maledizione, degrado, devastazione. Bisogna invertire questa tendenza, cambiare radicalmente politiche, invertire modello di sviluppo. Non servono slogan, interventi a pioggia, iniziative clientelari di falso “recupero”: sono necessarie una nuova idea di Calabria, un progetto di lunga durata per contrastare la fuga, per favorire il ritorno, per collegare montagne, colline, coste, marine, per fare sentire i calabresi come abitanti di un’unica città e comunità, senza chiusure, campanilismi, separazioni.
Occorre un new deal, un patto tra comuni, governo regionale e governo nazionale; è urgente un impegno comune tra imprese, sindacati, Chiesa, Università, mondo della scuola (anche in controtendenza e senza nascondere limiti, errori, scelte errate del passato non proprio tese al “bene comune” e al mondo degli “ultimi”), associazioni che operano dal basso, per un piano di rinascita, risanamento, messa in sicurezza del territorio, delle scuole, delle abitazioni, dei boschi, delle fiumare. Una terra segnata storicamente da catastrofi, fragile e resa fragile da chi si è succeduto al governo, senza uno sguardo profondo e lucido, senza interventi mirati, inclusivi, convinti rischia di diventare un deserto e un luogo di macerie. Questo grande piano di risanamento dovrebbe vedere protagoniste le comunità, i giovani da impegnare in attività produttive e dignitose, tenendo conto dei nuovi saperi, nuovi mezzi e modi di comunicare, le famiglie da sostenere in maniera concreta, quanti intendono creare cooperative, imprese, che vedano un ritorno, in forme radicalmente nuove, alla terra, all’agricoltura, all’artigianato, alla fantasia e all’inventiva delle persone, alla bellezza dei luoghi e del paesaggio. Di questi problemi mi occupo da una vita e ne ho scritto in libri e saggi, condividendo analisi e progetti con studiosi, operatori culturali, comunità resistenti di tutta Italia (ricordo luoghi di riflessione culturale e di “azione politica” e concreta per i piccoli paesi dell’interno come “Riabitare l’Italia”, “Fondazione Nuto Revelli”, “Dialoghi Mediterranei”, “Dislivelli”). È un tema complesso. I doverosi e urgenti interventi debbono avere uno sguardo lungo, una visone prospettica, un’attenzione costante, anche una dimensione sentimentale e affettiva, senza cedere alla retorica. Per questo ho deciso di parlarne in una iniziativa pubblica ed elettorale, per questo su questi temi mi sono confrontato, con scarsa fortuna, con governi che si sono succeduti, uomini politici di ogni appartenenza.
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La Calabria ha bisogno di verità, di lucidità, di cura, di amore e questo bisogno non deve essere patrimonio di una parte politica o del singolo. La Calabria ci offre e ci chiede identità aperte e non anguste, ha bisogno di identità dell’essere e del fare, sempre eticamente orientate, sempre religiosamente (anche laicamente) tese al “bene comune”, ai bisognosi, a chi soffre, agli anziani, agli ammalati, ai giovani che non trovano occupazione, a chi ha bisogno di attenzione, di cura, di riguardo. In questa terra dove il paesaggio è spesso devastato da detriti, scempi, devastazioni; dove un mare bellissimo è stato spesso inquinato e avvelenato; dove i magnifici boschi vengono distrutti dagli incendi quasi sempre dolosi; dove esistono le acque più salubri e generose e spesso si bevono acque avvelenate; dove la bellezza è spesso deturpata; in questa terra, che è stata luogo reale e metafora di tutto e il contrario di tutto, immagine e invenzione, realtà e mito, in questa terra l’ambiente, la sua tutela, la sua valorizzazione dovrebbe essere messo al centro del dibattito culturale e dell’agenda politica. Dalla Calabria potrebbero arrivare segnali concreti e indicazioni per vincere la “grande cecità” di cui parla un grandissimo scrittore Amitav Gosh e per contribuire alle battaglie dei verdi, di Greta, dei giovani per salvare il pianeta, prevenendo le imminenti catastrofi climatiche e ambientali. Acqua, vento, aria, terra, sole, luce, che il buon Dio ci ha dato con grande generosità, sono le grandi ricchezze naturali e ambientali da mettere a frutto per una rinascita economica della Calabria e del Mezzogiorno d’Italia, del Mediterraneo e dell’Europa.
Questo grande progetto, di cui non si parla in campagna elettorale, deve essere sostenuto da grandi interventi per favorire, sostenere, incoraggiare, fare crescere il mondo della scuola, la cultura, i Musei, i siti e i parchi archeologici, le gallerie d’arte e le collezioni pubbliche e private, i percorsi storici, religiosi, capaci di attrarre forestieri e di fare restare i giovani che non vogliono partire, le biblioteche, le Università, i centri di ricerca scientifica, che conoscono una grave crisi e che vengono sempre più sottratti alle giovani generazioni. Non servono finanziamenti clientelari, a pioggia, elargizioni per piccoli premi, sagre deteriori, manifestazioni kitsch. Anche le piccole comunità, i villaggi più spopolati, riescono ad organizzare le loro feste, i loro riti, i loro momenti di convivialità spesso all’insegna di una resistenza e di un’opposizione ai modelli omologanti. Servono invece musei, piccole biblioteche, luoghi di incontro e di socialità anche nei più piccoli centri. Restare, partire, tornare sono declinazioni di uno stesso processo economico, politico, sociale nello stesso tempo locale e globale.
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La mia storia familiare, con un mio nonno emigrato in America a inizio Novecento, mio padre che ho incontrato per la prima volta a otto anni perché era in Canada, i miei figli che sono andati via per studiare mi restituiscono anche a livello privato e intimo il dolore del partire, del restare, del tornare. Bisogna affermare, con politiche concrete e scelte lungimiranti, il diritto a restare, viaggiare, partire, tornare. Sono scelte e pratiche, individuali e collettive, sofferte, dolorose, che non hanno bisogno di semplici slogan.
Nella campagna elettorale in corso, la Calabria, dove si vota come in Emilia Romagna, e i voti di un calabrese contano quanto quelli di un emiliano, salvo rare eccezioni, è stata oscurata, cancellata, rimossa dalle televisioni, dalle grandi testate, e non a caso Giorgetti, l’ideologo della Lega, può dire (in continuità con Bossi e Miglio e la Lega antimeridionale, xenofoba, razzista) che il voto in Calabria non conta nulla. Questa rimozione, questa cancellazione dal panorama nazionale di una terra antica, ricca di storia, culture, tradizioni, risorse, è la conseguenza di scelte politiche ed economiche di lunga durata, a livello nazionale, ma anche locali. Anche conseguenza della pessima immagine di cui gode la Calabria. Da quando è nata la Lega il paradigma lombrosiano, contro cui hanno combattuto generazioni di meridionalisti, della Calabria «palla al piede» dell’Italia, terra lontana, selvaggia, popolata da persone violente e «inferiori per razza» e criminali si è diffuso e ha contagiato anche i ceti popolari del Nord, anche gli stessi meridionali e calabresi.
C’è una tendenza all’autodenigrazione e all’autondraghetizzazione, si oscilla tra autoflagellazione e autoassoluzione, che diventa anche assoluzione delle malefatte dei ceti politici nostrani, come scrivo da inizio anni Novanta (La razza maledetta, Manifestolibri, 1993; Maledetto Sud, Einaudi, 2012), anche da parte di tante élite locali.
La risposta ai pregiudizi è spesso consistita in scelte difensive, localistiche, lacrimevoli, risentite con la tendenza a dare la colpa sempre agli altri e ad ipotizzare un’identità angusta, un generico “noi calabresi”, insostenibile e inaccettabile perché in quel noi ci sono persone perbene, laboriose, oneste ma anche politici corrotti e contigui alla mafia, clan e lobbie subdole e nascoste, la criminalità radicata in Calabria ma operante in tutto il mondo.
La Calabria non può essere ridotta a luogo comune e a questione criminale, a problema di ordine giudiziario, nello stesso tempo non si può fare finta che la ‘ndrangheta e i suoi legami con massoneria deviata, tanta politica corrotta, un certo mondo delle professioni, non sia un grande problema di questa terra o che sia un’invenzione dei media locali ed esterni (subito inventati e costruiti come nemici della Calabria) che va affrontato con iniziative economiche, produttive, culturali, nelle famiglie, nelle scuole, nelle parrocchie, ma anche con indagini serie e rigorose, con giuste operazioni di contrasto da parte della magistratura e delle forze dell’ordine, a cui va dato il nostro ringraziamento e il nostro sostegno. Occorrono, anche in questo caso, scelte di campo, senza se e senza ma, che spesso arrivano da ambienti contigui alla ’ndrangheta. C’è una questione etica, morale, civile che la terra di Cassiodoro, dei santi e dei monaci italo-greci, Bruno di Colonia, Gioacchino da Fiore, Francesco da Paola, Campanella, Alvaro, don Mottola e tanti altri deve saper affrontare da sola, sostenuta da istituzioni pulite, senza dare agli altri la colpa di un degrado che nasce anche per limiti, responsabilità, errori della classe politica e dirigente di ogni colore, con le dovute eccezioni.
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La Calabria è a «mezza parete» (l’espressione è di Michele Risso e Delia Frigessi Castelnuovo), in bilico tra «persuasione e rettorica» (come diceva Carlo Michelstaedter, amato da Claudio Magris, che ha scritto cose belle sulla Calabria e su Mario La Cava), «tra sottoterra e cielo» (si veda il bel libro di padre Pino Stancari), sospesa e incerta tra un un degrado che spaventa, una desertificazione morale e civile, e delle potenzialità, delle risorse, delle spinte positive che non riescono a diventare progetto culturale alto e politico. La Calabria sembra in balia e in ostaggio di seminatori di odio, rancore, bugie e la partita sarebbe chiusa se non fosse per la presenza di abitanti e giovani che parlano di lavoro, desiderio di restare, di pace, di amore per la loro terra, con sguardi purché puliti, veri, disinteressati.
Ho pensato che, in questa situazione, come ho fatto in passato (magari sbagliando e commettendo errori) non sia possibile stare a guardare, non si possa rinunciare a un nostro diritto e dovere, si debba assumere una posizione, fare delle scelte, convinto che non tutte le forze e i candidati in campo siano gli stessi o dicano, davvero, la stessa cosa. Avrei immaginato (sognato) uno schieramento che andasse dal Pd alla sinistra radicale, dai 5 Stelle ai movimenti di base, dal civismo più limpido alle tante realtà di volontariato. Rivolgendosi, senza strumentalizzare, alle nascenti Sardine che in questa terra, con Jasmine Cristallo, hanno avuto già il merito di scegliere le pratiche dell’accoglienza, della solidarietà, di un linguaggio pacato, positivo, propositivo e di stigmatizzare allusioni e calunnie, denigrazioni, odi, rancori in voga su certi social.
Capisco che è un processo non facile, so bene che sono diverse le posizioni e le ideologie in campo, gli “interessi” in gioco, comprendo che ci vuole pazienza per realizzare un nuovo modo di fare politica. Il risultato di cui siamo tutti, diversamente, responsabili è che non si è nemmeno avviato un processo che sicuramente avrebbe contrastato una destra per nulla rassicurante, almeno a vedere le scelte a livello nazionale. Non sono così ingenuo da vedere il male tutto da una parte e il bene dall’altra e conosco anche nello schieramento di centro-destra persone perbene, capaci, che amano la Calabria.
La mia scelta è politica, generale, di lunga durata, di speranza. Continuo a pensare che sia auspicabile un progetto aperto, arioso, culturale, etico dove trovino rappresentanza quanti vengono dal mondo popolare, dal popolarismo cattolico, dall’umanesimo socialista, dalla migliore tradizione liberale e libertaria, da una storia che ha conosciuto emigrazione, occupazione delle terre, lotte contadine, morti per la terra e la libertà, persone che si sono opposte ai latifondisti e alla mafie. Capisco solo in parte le ragioni di chi non va a votare, perché l’astensionismo, come dicono ambienti cattolici calabresi, citati da “Reggio non tace”, favoriscono le ’ndrine, facendo una valutazione politica, rispetto la scelta di chi vota scheda bianca e quanti, convintamente e liberamente, votano 5 Stelle, Tansi, centro-destra, e tuttavia penso che sia anche il momento di individuare piccoli segnali in controtendenza e di speranza che arrivano dal candidato Pippo Callipo, che ha dato buona prova di sé nella sua attività imprenditoriale, si presenta con un volto rassicurante e non aggressivo, e dalle forze politiche che lo sostengono, anche dai tanti che non partecipano con loro liste alla competizione elettorale, dai singoli che non hanno rappresentanza. Il mio non è un appello al voto utile, perché il voto non si chiede in nessun modo (questo non vuol dire rinunciare ad argomentare, discutere, divulgare le proprie scelte, dialogando sempre con gli altri), perché considero utile e necessario ogni singolo individuo, perché dispongo soltanto del mio voto, sempre sofferto e ragionato, sempre pensando al bene della Calabria.
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Come abitante di questa terra, dove vivo e a volte abito da esule e da straniero in patria, ho pensato di non potermi nascondere dietro un generico astensionismo o una scelta non dichiarata per pigrizia o per opportunismo. Come diceva Gramsci, “odio” (ma l’odio è un sentimento che non mi appartiene) gli indifferenti, i trasformisti e i gattopardi, e stimo quanti comunque (indipendentemente dalla loro scelta fatta in libertà) si espongono e ci mettono la faccia. Non ritengo sia utile il silenzio, rimandando sempre a un domani il meglio che non arriva mai. Mi sforzo, e non è detto che ci riesca, di individuare quanto mi sembra e si presenta come più credibile e più fattibile in una realtà dove il Paradiso non esiste, ma dove, comunque, dovunque ci collochiamo, abbiamo il dovere di lasciare segni e tracce per comunità future.

*antropologo e scrittore

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