di Maria Rita Galati
CATANZARO Ritrovarsi sul palcoscenico del teatro “Politeama-Mario Foglietti” un Anfitrione improbabile, esemplare non più raro di politico dilettante espressione a metà strada tra il “celodurismo” bossiano e Cetto Laqualunque, a poche ore dalle elezioni regionali, ha accentuato l’effetto tragicomico dello spettacolo di Sergio Pierattini. Il pubblico, che nonostante qualche problema di acustica, ha gradito e si è divertito grazie alla irresistibile comicità del bravissimo Giovanni Esposito (nella veste di Sosia), uscendo avrà portato con sé l’immagine di Anfitrione (Antonio Catania), dilettante populista alle prime armi e senza congiuntivi nel carnet, sorprendente e inatteso vincitore delle elezioni, in attesa di essere chiamato dal presidente della Repubblica per diventare premier.
Anfitrione è la prima tragicommedia mai scritta, composta dall’autore latino Plauto alla fine del III secolo a. C.. Inizialmente concepita come una commedia, vede poi l’intervento di Giove e Mercurio, divinità che nel teatro ellenico “intervenivano” solo nel genere della tragedia. E così Plauto contamina i generi con un ingegnoso espediente narrativo e stilistico: nel prologo della rappresentazione utilizza proprio la voce di uno dei suoi personaggi, Mercurio, per qualificare l’opera con la definizione di “tragicommedia”.
Nell’Anfitrione diretto da Filippo Dini, il Sosia-servitore si è trasformato in un autista portaborse, mentre la bella moglie Alcmena, prossima first lady, è un’insegnante di scuola media di una piccola città di provincia. Ed è facile appassionarsi alla tragedia vissuta dalla protagonista femminile, interpretata in maniera emozionale da Barbora Bobulova, tanto nevrotica e afflitta dalla ignorante sciatteria del marito, quando è alle prese con l’Anfitrione becero, volgare e arrogante quanto sensuale e affascinante quando Anfitrione è Giove (Gigio Alberti), gentile e modello dell’uomo perfetto o quasi.
Anfitrione è uno dei più conosciuti classici della comicità, che vede protagonisti Giove e Mercurio, gli dèi che hanno dato vita al mito della nascita di Ercole grazie all’innamoramento di Giove per la moglie di Anfitrione, Alcmena. E che scendono sulla terra, nel 2019, agendo e intervenendo secondo i propri desiderata condizionando la vita degli uomini con l’inganno. Giove per avere Alcmena, gabbandone il marito, fa vincere le elezioni all’improbabile Anfitrione, che quando arriva a casa da neo deputato destinato alla carica di Presidente de Consiglio, si trova alle prese con un intrigo che la sua intelligenza non è in grado di sbrigare. La stessa Alcmena è protagonista di un inganno che a poco a poco le si svela attraverso il gioco di cui ella stessa è vittima, trovandosi davanti due versioni opposte del suo Anfitrione.
Anche il modesto Sosia ha il suo alter ego in un Mercurio furbo e affascinante (Valerio Santoro) e quando sua moglie Bromia (Valeria Angelozzi), si trova alle prese con i suoi due “mariti” non può che rimanere ‘presa’ dal secondo.
Verità e inganno combinati ad arte generano situazioni comiche e grottesche che ci richiamano all’attualità delle vicende del nostro presente, come quando Mercurio punta la pistola contro Sosia in giardino ed quasi giustificato da Bromia nell’eventuale legittima difesa, supportata da una legge in vigore che lo consente.
La scenografia semplice e molto realistica quasi ci cala nella realtà, prima dell’esterno notte nel bel giardino di una villa del modenese con la luna piena in cielo che illumina il balcone del secondo piano, e poi nell’esterno giorno con sdraio in bella vista e le colonne greche alle spalle nell’ingresso.
Quasi due ore che scivolano nella dimensione doppia del sogno che diventa incubo e della realtà paradossale suggerendoci alla fine una riflessione profonda, sul rapporto con noi stessi, con le nostre paure, in definitiva con il nostro doppio che convive urlando nel nostro intimo. (redazione@corrierecal.it)
x
x