VIBO VALENTIA Minacce e insulti sarebbero stati rivolti da alcuni detenuti, nel carcere di Catanzaro, al collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso e al procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, all’indomani della decisione dell’esponente dell’omonimo clan della ‘ndrangheta di Limbadi di “vuotare il sacco” con i magistrati Antimafia. È quanto raccontato stamane, nel corso del processo “Nemea” contro il clan Soriano di Filandari, dal collaboratore di giustizia collegato in video conferenza con l’aula bunker del nuovo Tribunale di Vibo Valentia.
Nel carcere di Siano, a Catanzaro, il 18 giugno del 2018 Emanuele Mancuso, fu spostato in una cella di isolamento, cosa che aveva dato la certezza agli altri detenuti dell’avvio della collaborazione con la giustizia del figlio del boss Pantaleone Mancuso, detto “l’Ingegnere”.
Il 19 giugno 2018, quindi, dalle finestre delle celle del carcere di Catanzaro sarebbero partite urla, minacce ed insulti dei detenuti rivolte ad Emanuele Mancuso ed al procuratore Nicola Gratteri. Successivamente, nei colloqui carcerari, la fidanzata di Emanuele Mancuso, per conto della stessa famiglia Mancuso, avrebbe offerto al pentito soldi in contanti e la possibilità di aprire in Spagna un bar purché ritrattasse tutte le accuse. Tutto inutile, perché Emanuele Mancuso non ha interrotto la collaborazione divenendo il primo pentito nella storia della famiglia Mancuso, uno dei clan più potenti dell’intera ‘ndrangheta.
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