di Alessia Truzzolillo
CATANZARO Non solo i verbali del faccendiere Emilio Santoro. Sono pronti a fare tremare le vene ai polsi anche i verbali del giudice Marco Petrini, 56 anni, presidente della seconda sezione della Corte d’Appello di Catanzaro e presidente della Commissione tributaria, tratto in arresto il 15 gennaio scorso su ordinanza del gip di Salerno, con, a proprio carico, più accuse di corruzione in atti giudiziari, talune aggravate dal metodo mafioso. Da qualche giorno Petrini, difeso dall’avvocato Agostino De Caro, sta parlando con i pm campani e le sue parole rischiano di scoperchiare un vero e proprio vaso di Pandora. Interrogatori molto lunghi, quelli resi da Petrini, che si sono protratti anche fino a tarda notte. Un sietma fatto di regali in denaro e altri beni (comprese prestazioni sessuali) si muoveva, secondo l’accusa, intorno al giudice – attraverso una rete di faccendieri tra i quali Emilio Santoro – pur di aggiustare sentenze e avere la sua intercessione in cause penali e tributarie.
I pm campani vogliono vederci chiaro ed estendere il raggio delle indagini a tutti coloro che sono stati più vicini al presidente della seconda sezione della corte d’Assise d’Appello del capoluogo calabro.
Oggi hanno ritirato il ricorso e rinunciato al Riesame, il giudice di Catanzaro e l’avvocato Francesco Saraco, entrambi implicati in quella che la Dda di Salerno ha nominato inchiesta “Genesi” e che vede coinvolti avvocati, imprenditori, “faccendieri” come l’ex dirigente dell’Asp di Cosenza Santoro e l’ex consigliere regionale Giuseppe Tursi Prato. Un “sistema” quello che gli inquirenti campani – con l’ausilio della Guardia di finanza di Crotone – stanno cercando di scoperchiare, fatto di regalie (in derrate alimentari, soldi, abiti, prestazioni sessuali) per influire sui processi penali e sulle cause tributarie.
Secondo l’accusa l’avvocato Francesco Saraco, figlio di Antonio Saraco, avrebbe cercato di interferire – per il tramite del giudice Petrini – nella sentenza di secondo grado del processo “Itaca Free Boat” nel quale era implicato il padre. Nel primo grado il padre Antonio era stato condannato a 10 anni per estorsione e il figlio Francesco, difeso dall’avvocato Giuseppe della Monica del foro di Bologna, avrebbe cercato di ottenere una illecita riduzione della pena.
RIESAME Hanno discusso il Riesame Giuseppe Tursi Prato, difeso dagli avvocati Franz Caruso del foro di Cosenza e Cataldo Indrieri del foro di Roma i quali hanno chiesto l’annullamento dell’ordinanza custodiale e una misura cautelare meno gravosa del carcere. Per Emilio Santoro l’avvocato Michele Gigliotti ha chiesto gli arresti domiciliari anche con braccialetto elettronico o comunque una misura meno afflittiva. Richiesta di mitigare le misure cautelari sono state avanzate anche per Luigi Falzetta e Vincenzo Arcuri. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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