di Fabio Papalia
REGGIO CALABRIA “Ho incontrato Berlusconi tre volte. Anche quando ero latitante. Sapeva come mi chiamavo”. Gli “imprenditori del nord” di cui parlava nelle intercettazioni ha un solo nome – «è Berlusconi» – e quella “situazione” che stava tanto a cuore a suo nonno era il 20% dell’impero del cavaliere, quota che sarebbe toccata ai soci siciliani che nei primi anni ’70 avrebbero messo insieme 20 miliardi da investire al nord, poi per perorare la loro causa si sarebbe incontrato con Silvio ben tre volte, anche durante la latitanza.
IL PROCESSO ‘NDRANGHETA STRAGISTA Continua a parlare, dopo anni che si avvale della facoltà di non rispondere, il boss Giuseppe Graviano, che in video-collegamento dal carcere di Terni ha risposto anche oggi all’esame del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo nel processo “‘ndrangheta stragista” che si celebra dinanzi alla Corte d’assise di Reggio Calabria. Graviano è imputato insieme al calabrese Rocco Filippone di Melicucco quale mandante degli attentati avvenuti in provincia di Reggio Calabria contro i carabinieri, che costarono la vita ai brigadieri Fava e Garofalo e ferirono altri quattro militari. Secondo l’accusa quei tre attentati contro simboli dello Stato erano il modo in cui la ‘ndrangheta partecipò alla stagione degli attentati continentali fra il ’93 e il ’94. E’ lo stesso Graviano, rispondendo alle domande del pm Lombardo, a chiarire il contenuto delle intercettazioni avvenute in carcere con il camorrista Umberto Adinolfi. Un interrogatorio fiume, sei ore di udienza tra mattina e pomeriggio, in cui il pm permette a Graviano di raccontare liberamente quanto ricorda, salvo fermarlo qua e là per qualche domanda a bruciapelo.
INVESTIMENTI AL NORD NELL’EDILIZIA Graviano racconta delle fortune del nonno materno, grosso commerciante nel settore ortofrutticolo, di come avesse messo in piedi gli stand al mercato di Palermo e aperto diversi negozi di frutta e verdura in alcune zone di Palermo, divenendo una persona “abbastanza ricca”. Finché il nonno «viene invitato a investire dei soldi al nord, da persone della zona di Malaspina». Siamo agli inizi degli anni ’70. Si trattava di investire nell’edilizia al nord e i contatti erano «con il signor Berlusconi. Avevano chiesto 20 miliardi di lire, e tutto quello che si faceva, il 20% era di chi è che portava questi soldi». Un investimento che, afferma rispondendo al pm, venne fatto. «Mio nonno – continua Graviano – si rivolge a mio papà, mio papà dice “io non faccio queste cose perché a me piace partecipare, io me le devo curare le cose mie”. Mio papà ha detto a mio nonno “non solo a me non devi parlarmi più di queste situazioni, ma non coinvolgere i miei figli». «Ma mio nonno non aveva 20 miliardi – prosegue Graviano – quindi si è rivolto ad altre persone». Alla morte del padre di Graviano, il nonno materno ormai anziano si rifà vivo con il nipote: «Ci chiama a me e mio cugino Graviano Salvatore e dice c’è sta situazione, tuo papà non vuole che avete a che fare, ma io non ho a chi rivolgermi. Io e mio cugino Salvo abbiamo detto “ci dobbiamo riflettere e ti diamo una risposta”. Ci siamo consigliati con Giuseppe Greco, padre di Michele Greco, persona saggia e voluta bene da tutti. Ci ha detto “certo qualcuno la deve portare avanti questa situazione” e abbiamo deciso di sì. E siamo partiti per Milano. Mio nonno mi ha fatto togliere il lutto e ci ha presentato al signor Berlusconi, ci ha raccontato che cosa era la società».
GLI INCONTRI CON BERLUSCONI Una società in cui gli “investitori” siciliani non comparivano formalmente, ma che volevano formalizzare la loro partecipazione in quanto, a detta di Graviano, erano tutte persone pulite e anche il denaro investito non era di provenienza illecita: «C’era una carta privata ma mio nonno diceva dobbiamo entrare con carta ufficiale che siamo in società». Il primo incontro tra Graviano e Berlusconi avvenne all’Hotel Quark nell’83, afferma Graviano ma avverte «se non ricordo male». Oltre a lui e Berlusconi sarebbero stati presenti «mio cugino Salvatore e mio nonno Filippo che ci ha presentati. Berlusconi – risponde Graviano alla precisa domanda di Lombardo – era solo». «Poi – aggiunge – io casco latitante, perché nell’84 a ottobre ricevo mandato di cattura. Quindi la situazione la comincia a seguire mio cugino Graviano Salvatore. Si andava avanti con questa situazione, ogni tanto faceva avere qualche cosa di soldi, mio cugino invece di dividerla ai soci li investiva». Gli anni passano e si arriva al racconto del secondo incontro: «Ne ’93, a dicembre, c’è una riunione di nuovo a Milano, mio cugino Salvo dice “vieni anche tu all’appuntamento. Si è arrivati finalmente alla conclusione che si regolarizza questa situazione”. Si fa l’incontro e si fissa l’appuntamento (con tutti i soci ndr) per febbraio del ’94 a Milano». Questo secondo incontro sarebbe avvenuto «a Milano Tre. C’era qualche altra persona che io non ho riconosciuto». Un incontro fissato per formalizzare l’ingresso di quei soggetti nella società immobiliare di Berlusconi, lo chiede il pm a Graviano che risponde affermativamente e offre un ulteriore dettaglio sulla carta privata: «La copia di mio nonno ce l’ha mio cugino Graviano Salvatore, con il nome di tutti, con la firma di imprenditori del nord».
L’INCONTRO DEL LATITANTE CON BERLUSCONI. Nel ’93, all’epoca di questo secondo asserito incontro, Graviano era latitante da 10 anni, il pm domanda esplicitamente: «Berlusconi sa che sta incontrando un latitante?» e Graviano risponde: «E non lo so, penso di sì». «Lei – chiede ancora il pm – si è presentato col suo nome e cognome?» «Sì, lo sapeva come mi chiamavo, ero il nipote di mio nonno, mio nonno all’inizio non è che sapeva che io dovevo andare latitante, ha presentato Graviano Salvatore e Giuseppe».
I DIVERTIMENTI IN LATITANZA. Quando il pm domanda se, da latitante, usasse particolari precauzioni, Graviano racconta con quale facilità si muovesse a Milano: «Tranquillamente facevo shopping, la mia latitanza era a Omegna, Milano mi serviva per incontri, perché io la latitanza l’ho fatta a Omegna. Facevo shopping in via Montenapoleone. Frequentavo i ristoranti tranquillamente e ogni sera andavo al cinema o a teatro, una vita di divertimenti più che latitanza». «Un giorno mio cugino a Omegna mi ha detto “sai mi ha dato un appartamento a Milano Tre, ho le chiavi, se dovesse necessitare”, ma io non andavo perché a Omegna era la pace degli angeli». Milano Tre, chiarisce rispondendo al pm, faceva parte di quell’investimento iniziale per cui toccava ai soci siciliani il 20%, ma non solo: «I 20 miliardi, il 20%, riguardava tutto ciò che partiva dal 1970, ’71, ’72, ’69 non ricordo data precisa, e Milano Tre faceva parte anche di questo». Un impero che Graviano elenca in aula, tra i 20 miliardi che sarebbero stati investiti «c’era tutto ciò che ha costruito, c’erano le televisioni, Canale 5, Mediaset, tutto era che faceva parte di questa situazione».
RAPPORTI IDILLIACI «Cenavamo anche insieme», dice riferendosi all’incontro di Milano Tre, e svela che Berlusconi avrebbe anticipato a suo cugino già nel 1992 l’intenzione di scendere in politica: «Ne parla con mio cugino Salvo. E lui gli propone a mio cugino Salvo, sai sto facendo questa situazione (partito ndr) mi potete dare appoggio giù in Sicilia? Siamo nel ’92, i primi del ’92». Un invito al quale il cugino, secondo Graviano, avrebbe replicato dicendo che non c’era bisogno di chiedere voti, perché se Berlusconi avesse investito in Sicilia, e non solo al nord, la gente lo avrebbe votato senza nemmeno doverglielo chiedere.
IL TRADIMENTO Un rapporto idilliaco interrotto dal “tradimento”, quando si decise di cambiare il codice penale e abolire l’ergastolo “ma non per gli imputati di strage”. E’ per questo, ha chiarito, che nell’intercettazione del 19 gennaio 2016 disse ad Adinolfi: «Berlusconi prese le distanze e fece il traditore».
TENTATO OMICIDIO DI TOTO’ RIINA Nelle sei ore di udienza, Graviano racconta anche il tentato omicidio ai danni di Totò Riina, dopo un summit di mafia: «Mentre escono dal fondo Favarella, in macchina era alla guida il sig. Giuseppe Gambino e sulla destra il sig. Riina. Gambino sta per girare verso Ciaculli, Riina ha fatto una mossa gli ha bloccato la mano e gli ha detto “ma scusa non hai visto niente? La mosse di Giuseppe Panno? Gira dal lato opposto. Ha fatto un segnale a Giovannello Greco ed erano pronti per ucciderci”. E vanno dal lato opposto. Poi manda qualcuno a vedere se davvero erano pronti a fare l’agguato, e li vedono pronti con i fucili».
MICHELE GRECO “UOMO DI PACE” «Subito – prosegue il racconto – mandano a chiamare Michele Greco, gli dice “questi mi vogliono uccidere”. Greco risponde “Io sono nella pace, posso intervenire solo nella pace”. Greco si dimette».
UN PC PER GRAVIANO Udienza rinviata a venerdì prossimo, non senza prima avere chiesto al carcere di Terni di mettere in condizione Graviano di ascoltare le intercettazioni apprestandogli un personal computer da fargli utilizzare sotto il controllo della polizia penitenziaria, poiché il dvd acquistato per tale scopo non è in grado di leggere tutte le estensioni dei file delle registrazioni audio contenute nel cd che gli ha fatto recapitare il suo difensore, l’avvocato Giuseppe Aloisio.
L’AVVOCATO DI BERLUSCONI: DICHIARAZIONI PRIVE DI FONDAMENTO «Le dichiarazioni rese quest’oggi da Giuseppe Graviano sono totalmente e platealmente destituite di ogni fondamento, sconnesse dalla realtà nonché palesemente diffamatorie». Lo afferma in una nota il legale di Silvio Berlusconi, l’avv. Niccolò Ghedini. «Si osservi – prosegue – che Graviano nega ogni sua responsabilità pur a fronte di molteplici sentenze passate in giudicato che lo hanno condannato a plurimi ergastoli per gravissimi delitti». «Dopo 26 anni ininterrotti di carcerazione – prosegue Ghedini – improvvisamente il signor Graviano rende dichiarazioni chiaramente finalizzate ad ottenere benefici processuali o carcerari inventando incontri, cifre ed episodi inverosimili ed inveritieri. Si comprende, fra l’altro, perfettamente l’astio profondo nei confronti del Presidente Berlusconi per tutte le leggi promulgate dai suoi governi proprio contro la mafia. Ovviamente saranno esperite tutte le azioni del caso avanti l’autorità giudiziaria». (redazione@corrierecal.it)
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