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«Andiamo alla Bit. Ma il Castello aragonese è chiuso»

di Romano Pitaro*

Pubblicato il: 10/02/2020 – 16:42
«Andiamo alla Bit. Ma il Castello aragonese è chiuso»

Sì, andiamo pure alla “Bit” (Borsa Internazionale del Turismo) a Milano. Ci dobbiamo essere, certo! Ma piange il cuore vedere ancora chiusa, serrata, sbarrata e inaccessibile la magnifica fortezza del XV secolo a Le Castella – Isola Capo Rizzuto solennemente immersa nell’Area marina protetta tra le più estese d’Europa (42 chilometri). Non consentire allo sguardo di godersi l’imponente eleganza e la draconiana bellezza dell’ “Aragonese” (risale alla Magna Grecia) e allungarsi dalle torri svettanti fino alla linea apparente che separa la terra dal cielo, è la metafora struggente di una Calabria bellissima e ricca di una plurimillenaria storia che però fa fatica ad oltrepassare la depressione ciclopica e il groviglio di eventi (intralci burocratici, sovrapposizione di competenze, veti incrociati, denari male utilizzati o persino non spesi) della contemporaneità che la immiseriscono. La schiacciano e le impediscono di slanciarsi nel futuro.
Sì, alla “Bit” si vada pure con cartelloni fosforescenti e sfavillanti pacchetti promozionali (per queste mansioni non ci manca il garbo, l’impeto alla partecipazione e neanche le risorse), ma se si continua a presenziare, in questi santuari degli incontri global, indifferenti ai traumi che subisce il fottio di giacimenti cultuali che immeritatamente ereditiamo da un passato glorioso e che ignominiosamente non sappiamo salvaguardare (figurarsi valorizzare!), si rischia di suggellare, al cospetto dell’Italia e del mondo che viaggia, l’esistenza in Calabria di due scenari decisamente incompatibili. Uno virtuale fatto di belle cartoline, intriganti audiovisivi d’ultima generazione e di promesse lussureggianti. L’altro di delinquenziali abbandoni dei luoghi dell’anima (“Il senso dei luoghi”, il libro dell’antropologo Vito Teti dovrebbe essere l’immancabile vademecum per chiunque volesse fare sul serio turismo in Calabria), meravigliosi per storia e natura: gioielli antichi e affascinanti, penso al parco archeologico di Acherentia, la città fondata dagli Enotri e forse da Filottete che evoca il fiume Lese, l’Acheronte di Dante e quel gigante del pensiero occidentale che fu Gioacchino da Fiore; monumenti celebri ma sdegnati da ignoranza crassa e colpevole incuria; scoperte che meriterebbero più studio, applicazione e attenzione, come i megaliti di Nardodipace che, aldilà di ermeneutiche suggestive (non opera della natura ma arriverebbero dal Neolitico) e benché intrisi di misteri, non se li fila più nessuno (altro che la “Stonehenge italiana”!) e giacciono in una sconfortante solitudine.
Andiamo pure alla “Bit”, ma si sia consapevoli che non rendiamo un servizio alla Calabria, se depliant e brochure non riflettono la verità sul nostro patrimonio culturale. Se assistiamo con rassegnata inettitudine agli scempi come l‘offline della fortezza de Le Castella o l’ingorgo di carte, ragioni e torti, che non rende fruibile al pubblico, ormai credo da alcuni anni, l’incantevole Isola di Dino. C’è bisogno, va da sé, di una revisione in profondità dell’approccio alle politiche turistiche della Calabria.
Non è facile e ci vorrà del tempo anche per i meglio intenzionati. Sul groppone della Regione c’è mezzo secolo di errori e l’Istituzione regionale ha obiettivamente perso l’ispirazione originaria della prima legislatura, quando si voleva affrancare la Calabria dalla ‘storica arretratezza’ e realizzare la “piena occupazione” restituendole, con le armi di una robusta politica meridionalista, la dignità di soggetto di pensiero attraverso l’opportunità del regionalismo in fasce e i principi della programmazione e della partecipazione popolare. Ma segnalare adesso, a campagna elettorale chiusa e con l’imminente avvio dell’XI legislatura, la necessità di una riflessione su alcuni dei nodi che offuscano il futuro dei calabresi, forse può aiutare i nuovi amministratori a districarsi dalla compulsiva coazione a ripetere gli errori del passato e a riconoscere che, sebbene la situazione della Calabria sia ‘grave ma non seria’, come apostrofava la politica italiana Ennio Flaiano, decisamente è ben distante dal richiedere l’indulgenza plenaria in articulo mortis. Anzi, è aperta ad ogni stimolo di miglioramento ed ha tutto ciò che le occorre per sconfiggere vizi e dissennatezze e iniziare a scommettere, con rigore e durezza, sulla bellezza della sua civiltà e dei suoi paesaggi.

*giornalista

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