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Caso Pagliuso, chiesti tre anni per l’avvocato Larussa

Il pm Elio Romano ha invocato, inoltre, un anno di reclusione per l’assistente di studio Tullia Pallone. Il penalista lametino è accusato di favoreggiamento della latitanza di Daniele Scalise viole…

Pubblicato il: 12/02/2020 – 14:41
Caso Pagliuso, chiesti tre anni per l’avvocato Larussa

di Alessia Truzzolillo
CATANZARO
Tre anni di reclusione. Questa la pena invocata dal sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, Elio Romano, nei confronti dell’avvocato Antonio Larussa, imputato per favoreggiamento della latitanza di Daniele Scalise, elemento di spicco dell’omonima cosca, procurata inosservanza della pena e violenza privata ai danni dell’avvocato Francesco Pagliuso (ucciso nel giardino della propria abitazione la notte del 9 agosto 2016). Entrambi i reati contestati sono aggravati dal metodo mafioso perché sarebbero stati commessi per «agevolare l’attività della ‘ndrina degli Scalise».
Per l’imputata Tullia Pallone, assistente di studio dell’avvocato Larussa  – accusata di favoreggiamento semplice perché avrebbe aiutato Larussa a eludere le investigazioni – il pm ha chiesto un anno di reclusione.
In seguito alla requisitoria di Romano sono intervenuti gli avvocati di parte civile Marcello Manna, per la Camera Penale di Lamezia Terme, Bonaventura Candido, Nunzio Raimondi e Salvatore Staiano per i familiari dell’avvocato Francesco Pagliuso, illustrando diffusamente le ragioni per le quali deve essere affermata la penale responsabilità dell’avvocato Antonio Larussa per i reati che gli vengono contestati.
In seguito sono intervenuti gli avvocati della difesa – Giuseppe Spinelli per Tullia Pallone, e Francesco Gambardella per Antonio Larussa – che hanno chiesto l’assoluzione per i propri assistiti.
In seguito il gup Paola Ciriaco ha rinviato all’udienza dell’11 marzo per repliche e decisione.
LE ACCUSE Il processo che vede coinvolti i due avvocati lametini nasce in seguito alle indagini sull’omicidio dell’avvocato Francesco Pagliuso dalle quali è scaturita l’operazione “Reventinum” condotta contro i clan Scalise e Mezzatesta, protagonisti della faida ‘ndranghetistica che ha interessato le ‘ndrine insistenti nelle zone del monte Reventino circostanti Lamezia Terme, quali i Comuni di Soveria Mannelli e Decollatura. 
Secondo il gip distrettuale di Catanzaro che ha emesso l’ordinanza, sarebbe Luciano Scalise, fratello di Daniele, il mandante dell’omicidio dell’avvocato Pagliuso. Per quanto riguarda l’esecutore materiale dell’omicidio, questo viene indicato in Marco Gallo, considerato vicino agli Scalise, per il quale processo si sta svolgendo davanti alla Corte d’Assise di Catanzaro. Secondo quanto ricostruito dalle indagini condotte dai carabinieri e coordinate dalla Dda di Catanzaro – rappresentata in aula dal pm Elio Romano – Larussa avrebbe aiutato nel 2012 «Daniele Scalise (assassinato nel 2014, ndr) a sottrarsi all’esecuzione della pena» che gli era stata inflitta dopo la sentenza della corte d’Appello di Catanzaro che lo condannava per i reati di estorsione, lesioni e resistenza a pubblico ufficiale. Inizialmente Daniele Scalise era difeso dall’avvocato Pagliuso. Nel 2012, secondo l’accusa, Larussa «(in concorso morale con Pino Scalise (padre di Daniele e Luciano, che segue un separato procedimento, ndr) e con i soggetti Daniele Scalise, Giovanni Vescio, Francesco Iannazzo, tutti uccisi nella faida del Reventino «in qualità di istigatore nella fase dell’ideazione del delitto, istigazione posta in essere attraverso la prospettazione ai suddetti soggetti, tutti comunque appartenenti alla criminalità organizzata lametina, di scarso impegno professionale da parte dell’avvocato Francesco Pagliuso, ovvero di commissione da parte di quest’ultimo di errori nella linea difensiva, nell’ambito di una processo che vedeva imputato Daniele Scalise a Cosenza per il delitto di truffa». Inoltre Larussa avrebbe prospettato la mancata consegna delle carte procedurali dell’avvocato Pagliuso allo stesso Larussa, che nel frattempo era stato nominato co-difensore di Daniele Scalise. Facendo ciò «contribuiva a costringere, con violenza e minaccia di morte a mano armata, da parte di più persone riunite (tra cui Daniele Scalise, Giovanni Vescio, Francesco Iannazzo, ndr) a seguire la linea difensiva prospettata dai suddetti soggetti, ad accettare o tollerare la co-difesa con l’avvocato Larussa» e a fare quello che la cosca gli imponeva. (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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