di Maria Rita Galati
CATANZARO La posta in gioco sono i sentimenti. Sempre e comunque. Sul tavolo verde in palio non ci sono semplicemente fiches, ma fallimenti, sconfitte, gioie e dolore, tradimenti, menzogne e inganni. Al centro il bilancio di una vita, e dell’amicizia che nasce tra le camerate del servizio militare e si rafforza tra bevute e goliardate per perdersi dietro il sorriso conteso di una donna. La trasposizione teatrale di uno dei film più famosi del regista Pupi Avati diventa un’occasione unica per vedere sul palcoscenico del “Politeama – Mario Foglietti” un concentrato di bravura, in particolare quella di Giovanni Esposito e Gigio Alberti. Rispettivamente Lele e Santelia, credibili e a tratti esilaranti nella esasperazione dei difetti di un critico teatrale esasperato dalla carriera che non decolla mai (e suggerisce anche a chi recensisce spettacoli di scrivere sempre bene di attori e compagnie per andare avanti), il primo, e di un vecchio avvocato appassionato di carte che nella vita costruisce e vende bambole “speciali”, un vincente che si mimetizza dietro gli acciacchi e le incertezze di un uomo solo e stanco, apparentemente “un pollo da spennare”. Marcello Cotugno dirige abilmente anche Fulvio Pepe, Giovanni Esposito, Valerio Santoro, Gennaro Di Biase, nella celebre partita a poker natalizia che parte come un momento di divertimento e l’aspettativa di portare a casa un po’ di grana, e finisce per mettere in scena problemi, frustrazioni e i pochi soldi a disposizione. Alla fine è il trionfo del singolo sul collettivo, un’amara riflessione su quello che stiamo diventando, o forse siamo già diventati, se il fine ultimo è il successo e il denaro, anche se questo significa conquistare posizioni a spese di tutti.
La versione teatrale di “Regalo di Natale” è ambientata ai giorni nostri, quelli della crisi economica – che secondo Stefano può anche essere una buona occasione per far emergere i migliori – e quindi del gioco che diventa occasione di rivincita, precipitando nella ludopatia. Su quel tavolo che scandisce il tempo dei due atti – più veloce e coinvolgente il secondo anche per via dell’evolversi del racconto con l’accrescere della posta in gioco – c’è anche il tema dell’amicizia al maschile, di quell’affetto muto che resta anche quando tutto cambia assieme agli anni che scappano via, e quando ti ritrovi guardandoti in faccia, tra la pancetta e i capelli caduti, ti ritrovi ventenne guardandoti negli occhi.
In una atmosfera anonima – la serata è ambientata nella casa di un’amica di Stefano, proprietario di una palestra presa di mira dalla Guardia di Finanza, che cerca di sfuggire ai controlli portando via i documenti sbagliati – fumosa e cupa, la partita precipita dietro alle fughe in bagno dell’avvocato che vende le bambole perfino ai coreani. Il demone del gioco è lo stratagemma con cui il regista spinge i protagonisti a svelare i propri stati d’animo, fino alla sorpresa finale, quando Franco gioca fino all’ultimo 200.000 euro, e non cede al regalo di Natale di Santelia che vuole ‘rimettere’ il debito a patto che le carte dell’ultima mano restino coperte.
Attraverso il gioco lo spettatore resta in tensione e nello stesso tempo scopre – tra valori e disvalori – le caratteristiche di quei quattro amici così diversi tra di loro: Franco, così sicuro e disponibile nell’aiutare i compagni se sarà lui a vincere, in realtà con seri problemi economici; Lele petulante e logorroico a causa della frustrazione sul lavoro e le ambizioni di autore fallito, ma sempre spiritoso (tanto da far divertire il pubblico); e ancora Stefano affettuoso ma impaurito per via del rischio di fallimento della sua palestra, che però non perde la sua sensibilità nei confronti degli amici. Sensibilità di cui difetta certamente Ugo, che dopo aver portato via, senza scrupoli, Martina all’amico Franco, non ci pensa due volte a ‘fregare’ gli amici portando con sé Santelia, rivelatosi un giocatore professionista. Il pubblico si alza per un doveroso tributo alla compagnia e a chi l’ha ispirata, quel Pupi Avati tanto caro al sovrintendente del Politeama, Gianvito Casadonte, in prima fila per raccogliere l’affetto di Giovanni Esposito. (redazione@corrierecal.it)
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