MILANO «Si è impegnato per iscritto a versare 300 euro mensili alle persone offese per 10 anni». Per questa ragione, come si legge nelle motivazioni della Corte d’Appello di Milano, è stata ridotta da 9 anni e mezzo a 7 anni e mezzo, con la concessione delle attenuanti generiche, la condanna in abbreviato per Roberto Manno, figlio del presunto boss della ‘ndrangheta Francesco Manno, nel processo con al centro la bomba esplosa nell’ottobre 2017 a Pioltello, nel milanese, davanti alla porta di casa di un operaio ecuadoriano e dei suoi familiari per un prestito a tassi d’usura non restituito.
Oltre alla condanna di Roberto Manno, difeso dai legali Ivano Chiesa e Mirko Perlino, lo scorso novembre era stata ridotta da 6 anni e 4 mesi a 4 anni e 8 mesi anche la pena inflitta a Manuel Manno, difeso dagli avvocati Amedeo Rizza e Mirko Perlino. Quest’ultimo imputato ha ottenuto, infatti, l’attenuante del risarcimento perché ha versato “5mila euro” alla vittima di usura e dell’attentato estorsivo, reati aggravati dalla finalità mafiosa.
La Procura generale aveva chiesto, invece, la conferma delle condanne inflitte in primo grado, ma la terza sezione penale della Corte d’Appello milanese (Marcelli-Paparella-D’Addea) ha confermato solo le pene inflitte ad altri quattro imputati. La Corte nelle motivazioni da poco depositate ha spiegato che quell’attentato a Pioltello mise in pericolo non tanto la vittima di usura, che era già fuggita in Ecuador spaventata dal clan, «ma tutti gli inquilini del palazzo». E con quell’azione i Manno, secondo i giudici, hanno voluto «dimostrare l’autorità e il potere» della loro “famiglia” sul territorio e «l’esigenza della stessa di venire rispettata prima ancora» che «ottenere la restituzione della somma prestata al debitore».
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