Ci sono due Sud nella gestione del servizio idrico. Uno che punta all’efficienza, che continua ad investire per migliorare il servizio al cittadino; L’altro che annega nei debiti, nell’inefficienza, erogando un servizio sotto gli standard minimi di qualità. Questi due Sud sono stati presentati, alcuni mesi fa, in un forum a Napoli alla parlamentare del M5s Federica Daga, promotrice della legge di riforma del servizio idrico “Acqua Pubblica”, sparita dai radar del governo.
Per conto della Sorical, mi è toccato fotografare la Calabria, una regione che per valutazioni politiche errate, non ha attuato le legge di riforma varate dal Parlamento nel 1994 e nel 2006. Sul tavolo del prossimo Presidente della Regione Jole Santelli, un conto salato e nessuna certezza dell’accesso all’acqua per le prossime generazioni senza una riorganizzazione del tutto il servizio.
“La Calabria è un territorio ricco di acqua”, è il tormentone che accompagna le discussioni al bar, ma non appena si arriva sui tavoli decisionali, viene fuori un’altra storia. L’acqua potabile è quasi tutta utilizzata, ciò che resta, potrebbe essere usata per l’agricoltura e per l’ambiente, ma in ogni caso lo sfruttamento delle risorse naturali come l’acqua non può essere illimitato e senza regole.
In Calabria sono presenti 24 dighe, tranne due ad esclusivo uso idropotabile (Alaco e Menta), le altre sono ad uso plurimo, con gli invasi, in primis i silani, affidati in concessione ad Enel e A2A per la produzione idroelettrica. Il rilascio di risorsa idrica da questi impianti per usi civici e agricoli è regolato, oltre un certo quantitativo scatta l’indennizzo per “mancata turbinazione”, cioè per mancata produzione di energia elettrica. In caso di siccità, come è accaduto nel 2017, si apre il conflitto tra concessionari e utilizzatori dell’acqua (consorzi di bonifica e la filiera dell’idropotabile). La popolazione maggiormente interessata alla problematica è la provincia di Crotone e Catanzaro, e con i cambiamenti climatici occorre un riordino e una programmazione della materia.
Per l’uso potabile, la Cassa per il Mezzogiorno ha costruito circa 200 tra piccoli e grandi acquedotti, 157 quelli gestiti fino al 2034 dalla Sorical.
Studi ministeriali hanno stimato che nei serbatoi di tutti i Comuni calabresi vengono immessi in 425 milioni di metri cubi di acqua potabile, quasi quanto la Puglia, che vanta il doppio della popolazione calabrese. Nonostante questo enorme quantitativo, in molte città dai rubinetti scorre acqua per poche ore al giorno. Accade a Cosenza, a Vibo e in tante altre municipalità di medie dimensioni. E’ il risultato di decenni di cattiva manutenzione delle reti idriche per assenza di risorse finanziarie per gli investimenti e di assenza di infrastrutture per l’acqua irrigua nei centri con vocazione agricola. Tutto lasciato agli uffici tecnici comunali e a ditte non sempre specializzate.
Allo stato non è più sostenibile continuare ad erogare due, anche tre volte in più acqua potabile di cui una comunità ha bisogno. Dopo anni di inerzia occorre traghettare il servizio verso una gestione industriale, facendo tesoro delle esperienze delle regioni, anche quelle poche del Sud, virtuose.
La depurazione, che è il segmento a valle del servizio idrico, desta non poche preoccupazioni. Conteziosi, procedure di esproprio incomplete, alla fine quasi 1 miliardo di euro spesi nei primi anni 2000 per dotare la Calabria di 640 depuratori. Infrazioni europee da decenni non chiuse, una dotazione di impianti in larghissima parte gestiti al meglio per la scarsità di risorse. Da 15 anni la Regione, ad ogni legislatura, deve programmare interventi straordinari per milioni di euro per assicurare il corretto funzionamento a partire dal costosissimo smaltimento dei fanghi.
Il settore della depurazione è un buco nero, ad oggi non c’è un dato certo sui costi di funzionamento e manutenzione ordinaria. L’unica stima disponibile fissa a 50 euro pro capite all’anno, cioè 100 milioni di euro all’anno per energia elettrica, manutenzione, smaltimento fanghi. Diverse imprese affidatarie della gestione sono fallite, i consorzi sono in crisi. Da anni assistiamo al sequestro di impianti da parte dell’autorità giudiziaria, senza che si arrivi al completamento della riforma ed ad una gestione sostenibile ed efficiente. Infatti, mentre tutti i Comuni italiani hanno affidato, come prescrive la legge, l’affidamento della gestione del servizio idrico ad un unico gestore, in Calabria si è deciso, alla fine degli anni 90, di separare i tre segmenti, lasciando ai Comuni la gestione amministrativa dell’utenza, diventata negli anni il “Tallone di Achille” del sistema e che non riesce ad autofinanziarsi per l’alta morosità e gli allacci abusivi.
Eppure non mancano la risorse per gli investimenti, dei 570 milioni di euro di fondi pubblici (Fsc e Ue), solo una minima parte sono stati impegnati e la spesa langue per la farraginosità delle procedure e l’assenza, appunto, di una gestione integrata.
Anche la tecnologia, in continua evoluzione, a supporto della gestione in Calabria è pressoché assente.
Il governo, proprio alla luce dei ritardi accumulati, delle risorse non spese, come anticipato dal “Sole 24 Ore”, ha ipotizzato di costruire una holding pubblica con società miste regionali, coinvolgendo gli enti locali e le grandi aziende nazionali del settore rappresentate da Utilitalia, per implementare il servizio idrico al Sud, dove territori della Sicilia, della Campania e tutta la Calabria presentano le maggiori criticità. A questo appuntamento la Calabria non può arrivare impreparata.
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