Nella dinamica storica della nostra Repubblica democratica non c’è un organo costituzionale che ha dato miglior prova di efficacia dell’azione e perfetto funzionamento, come la Corte Costituzionale. Divenuto operativo,dopo l’entrata in vigore della Carta,con un considerevole ritardo, quest’organo costituzionale sembra tuttora essere quello nel migliore stato di salute fra quelli che compongono il corpo giuridico e sociale del Paese. Ancora di recente la Corte ha, infatti,dato prova di saper intervenire con efficacia in materia di diritti e segnatamente, sul tema della progressività trattamentale in carcere,un tema che ha fatto da sfondo anche a questa iniziativa dell’Anm, su scala nazionale, che ha affrontato da vicino, in unità fra teoria e pratica (secondo l’insegnamento di Savigny), il pilastro della visione costituzionale del carcere, che è poi la funzione rieducativa della pena. Ecco, in questa marea montante della concezione neoretributiva, espressione di istanze populiste che dominano da tempo la vita del nostro Paese, non è certo cosa da poco che la Corte incontri il carcere per sottolineare che dietro le sbarre pulsa un’umanità dolente che anela a recuperare quote di libertà in ragione dei progressi compiuti attraverso l’osservazione durante il trattamento e,sopratutto, guardando alla partecipazione del detenuto all’opera di rieducazione. E trovo l’iniziativa, voluta dal Presidente (oggi emerito) Giorgio Lattanzi, assai suggestiva della rigidità dell’indice che la Carta pone a base della valutazione del condannato: non quello presuntivo della cessata pericolosità, sopratutto agganciato a parametri probatori esterni, ma proprio quello della progressione trattamentale non svincolata dalla (anzi incentrata sulla) rieducazione del condannato. Nell’ambito dell’esecuzione penale non si può,infatti,operare ancorando il giudizio a dati che prescindono dall’osservazione del condannato,dalla sua voglia di riscatto attraverso il trattamento. Così lo Stato vince in misura che non patteggia,non ricatta,non chiede collaborazione in cambio di benefici…ma lavora sul recupero del detenuto ad un rapporto attivo con la comunità dalla quale, col reato, si è potentemente allontanato. A me pare che il film proiettato ieri all’Auditorium Casalinuovo di Catanzaro – e così autorevolmente commentato – dica in fondo questo: lo Stato democratico non cerca scorciatoie e si concentra,con grande fatica,sul recupero sociale del condannato;esso non conosce la vendetta.
*avvocato
x
x