È da qualche anno che sono tornato a vivere in Calabria e attualmente presto servizio come dirigente medico e con incarico di responsabile area medica Confial presso l’ASP di Cosenza, precedentemente ho lavorato presso alcuni ospedali della regione Marche che, a differenza nostra, può vantare un servizio sanitario all’avanguardia e a cui ogni anno si rivolgono migliaia di persone del sud, con una migrazione sanitaria che raggiunge picchi altissimi.
Sapete come sono giunti a tale traguardo?
Hanno “semplicemente” seguito le linee guida del Decreto Ministeriale n.70 del 2015, ove per contenere la spesa sanitaria vengono fornite indicazioni riguardanti la riorganizzazione della rete ospedaliera in base al bacino di utenza, prediligendo la presenza di un numero ridotto di ospedali ma di elevata qualità, piuttosto che piccole strutture sanitarie disseminate sul territorio che però non hanno i requisiti minimi.
Per dare seguito a questa razionalizzazione delle risorse c’è stato un impegno serio e concreto della Regione e della Dirigenza Sanitaria: hanno dovuto chiudere o riconvertire diverse strutture, hanno affrontato manifestazioni e scioperi delle comunità che si vedevano chiudere l’ospedale sotto casa e hanno dovuto spiegare perché l’organizzazione sanitaria precedente non era più sostenibile.
Così ora, dopo il trambusto della tempesta, si godono la quiete di una sanità sicura, di qualità e vicina alle esigenze cittadino.
In Calabria invece, ed in particolare nella provincia di Cosenza nella quale risiedo, non sono ancora riuscito a capire qual è e se c’è un progetto di riorganizzazione o se per il Ministero della salute la nostra rete ospedaliera attuale va bene così com’è.
Non capisco perchè nonostante la presenza dello Stato, con un commissariamento della sanità che dura da 10 anni, si continuano a ignorare le linee guida ministeriali.
Non capisco perchè, in una regione in Piano di Rientro dal disavanzo sanitario, in cui la razionalizzazione delle risorse dovrebbe essere una priorità, abbiamo i due spoke, quello dell’area jonica e quello dell’area tirrenica, divisi in due strutture fisicamente separate tra loro: Corigliano-Rossano e Cetraro-Paola, con storiche contese per l’accaparramento dei reparti.
È mia opinione che tale anomala suddivisione su 4 presidi anzichè 2, non solo determina una frammentazione delle risorse disponibili ai danni di altre strutture come lo spoke di Castrovillari e altri presidi periferici, ma ha rappresentato nel tempo un ostacolo alla nostra crescita professionale, con crescente sfiducia degli utenti e un sovraccarico funzionale dell’Hub di Cosenza.
E allora senza giri di parole, cosa bisogna fare?
Chiudere o riconvertire la struttura di Corigliano arroccata nel centro storico e potenziare Rossano a pochi chilometri. Chiudere Paola, (sita in un’area ad altissimo rischio idrogeologico R4 e per questo sprovvista di una piattaforma di elisoccorso e con unica via di ingresso) e accentrare su Cetraro.
Ribadisco che è più sicuro fare qualche chilometro in più e ricoverarsi in un ospedale più grande e attrezzato piuttosto che nell’ospedale sotto casa in cui non sono rispettati i criteri di qualità.
Una ulteriore anomalia è rappresentata (vedi delibera n.1305 del 2015 del Commissario straordinario Filippelli) dalle “12 Case di cura accreditate concentrate esclusivamente sull’area Cosenza-Tirreno, che unitamente alla organizzazione ospedaliera presente, determina una disomogeneità dell’offerta sanitaria sul territorio aziendale, in quanto su 2.317 posti letto assegnati alla provincia di Cosenza, 1771 sono allocati nell’area Cosenza-Tirreno e soltanto 546 in tutta l’area Jonio-Pollino, pur contando quasi 300 mila abitanti”.
Emblema di questa situazione di criticità è la presenza nell’ospedale di Praia a mare di una macchina di Risonanza Magnetica da 1,5 T, accesa e funzionante da anni, ma che ancora non è servita ad anima viva.
Questo monito ad un impegno e un confronto serio e immediato è indirizzato ai vari Ministeri (Salute, Economia, del Mezzogiorno), al Commissario della Sanità Cotticelli, alla dirigenza Asp Cosenza e della Regione Calabria, ai Sindaci e ai politici locali: non siamo più disposti come cittadini e come lavoratori a sopportare ulteriormente questo immobilismo disarmante e ad essere privati del nostro sacrosanto diritto alla salute.
*dirigente medico Asp Cosenza
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