di Fabio Papalia
REGGIO CALABRIA La cosca Alvaro avrebbe appoggiato alle elezioni politiche dell’anno 2018 il candidato al Senato Marco Siclari. Voto di scambio politico-mafioso è l’accusa che la Procura distrettuale di Reggio Calabria muove al giovane medico di Villa San Giovanni, coinvolto nell’operazione Eyphemos. Un altro camice bianco, il ginecologo Giuseppe Antonio Galletta (anch’egli ai domiciliari), sarebbe stato il “trait d’union” tra la cosca Alvaro e il politico. Il medico reggino con studio nel quartiere di Gallina avrebbe chiesto l’interessamento di Domenico Laurendi, uno dei principali indagati dell’inchiesta che la procura definisce «imprenditore mafioso», per procacciare voti in favore del candidato a Palazzo Madama nella lista di Forza Italia al collegio uninominale “Calabria 4”. Nel corso dell’incontro, avvenuto il 7 febbraio e captato dagli investigatori, Galletta racconta a Laurendi della candidatura di Siclari: «Io non è che volevo, però purtroppo si è candidato, un amico mio intimo… che è al Senato di Forza Italia Siclari». Un «ragazzo di Roma, originario però di Villa», che «è genero anche di un collega», e col quale Galletta assicurava di avere un rapporto molto stretto, tanto di essere stato il primo ad aver saputo della scelta di Berlusconi: «che Eh … figurati … quel giorno, quella notte della candidatura, quando l’ha chiamato Berlusconi, il primo mi ha chiamato a me!». Galletta quindi affronta l’argomento voti: «E quindi ora … gli voglio trovare un po’ di voti in… in questo bordello… in questa Forza Italia … in questo coso», ricevendo senza esitazione risposta da Laurendi: «e qual è il problema». Lo stesso giorno, rientrato a Sant’Eufemia, racconta il contenuto del dialogo a Natale, solo successivamente identificato in Natale Lupoi, che nell’indagine è indicato quale presunto esponente di spicco della cosca Alvaro. L’incontro con Siclari. Dopo l’interessamento, il 28 febbraio 2018 sarebbe seguito l’incontro tra Siclari e Laurendi, alla presenza anche di Galletta, nel corso del quale sempre secondo l’accusa sarebbe stato raggiunto un accordo tra il politico, consapevole che la persona che si impegnava a procurare i voti era ‘ndranghetista tanto da volerlo incontrare privatamente in forma riservata nella sua segreteria politica, e l’appartenente al clan Alvari, il quale si sarebbe impegnato al procacciamento dei voti non solo a Sant’Eufemia ma anche a Sinopoli, in cambio di favori da parte del politico. Non fu uno dei tanti appuntamenti pubblici in cui si stringono le mani e si scattano foto inconsapevoli, secondo l’impianto accusatorio si trattava di un appuntamento con un imprenditore «particolare» perché legato alla ‘ndrangheta. Laurendi era sotto processo in appello, benché assolto in primo grado, nell’ambito dell’operazione Xenopolis con l’accusa di associazione mafiosa.
IL TROJAN DISINSTALLATO
Gli investigatori non hanno potuto ascoltare la conversazione, durata 40 minuti, perché Laurendi aveva disinstallato dal proprio Iphone 7 l’applicazione contenente il virus, il Trojan, che permette agli uomini della Mobile di accedere al microfono del cellulare e usarlo come una microspia ambientale all’insaputa dell’indagato.
LA MESSE DI VOTI La procura ha contato i voti raccolti da Siclari: eletto senatore col 39,59% nel collegio, percentuale che sale al 46,10%, con 782 voti, a Sant’Eufemia d’Aspromonte, e al 63,41%, con 435 voti, a Sinopoli. Secondo la Dda significherebbe che nella roccaforte della cosca Alvaro Siclari ha conseguito un percentuale di voti ben più alta della media provinciale, grazie all’operato di Domenico Laurendi, che finanche lo stesso giorno delle elezioni dava indicazioni di voto al Senato per Siclari, e alla Camera per l’ex assessore regionale di Sant’Eufemia Luigi Fedele (il quale non è indagato, estraneo all’indagine), candidato di “Noi per l’Italia” in lista nel proporzionale Camera Sud. Così Laurendi perorava il voto per Siclari: «Questo qua è in Forza Italia… questo amico mio… questo è un dottore, Marco Siclari, di qua, quello che ha i supermercati qua a Reggio e cose, ed è a Roma! E’ un amico nostro questo … è un medico!».
IL FAVORE ELETTORALE ALL’INCASSO Un aiuto di cui Laurendi avrebbe presto presentato il «primo conto», tra maggio e giugno 2018, sollecitando un intervento del neo senatore, eletto con ampia percentuale di voti, affinché una dipendente di Poste italiane ottenesse un trasferimento di sede. Laurendi chiama Galletta e chiede di incontrare il senatore, per una «consulenza». Laurendi e Galleta si incontrano, quest’ultimo raccoglie la sollecitazione di Laurendi e lo rassicura che avrebbe interessato Antonio Tajani, all’epoca presidente del Parlamento Europeo: «questo qua ora, ora, eeh, pensi che la prossima settimana dobbiamo parlare perché Tajani a questo qua, Tajani, personalmente lo conosce a questo…questo qua è di Riccione». Seguono altri contatti, ma è nella telefonata del 20 giugno tra Galletta e Laurendi che l’accusa acquisisce la prova di un intervento positivo. La dipendente delle Poste era stata inserita nell’elenco dei trasferimenti previsti per il mese i settembre: si trattava di una parente di Natale Lupoi, alias “Beccaccia”, già condannato per mafia, ritenuto elemento di vertice della ‘ndrina di Sant’Eufemia d’Aspromonte, ma soprattutto della famiglia di ‘ndrangheta degli Alvaro di Sinopoli. Oltre al trasferimento, Laurendi avrebbe chiesto al senatore anche l’interessamento per fare assumere in un “ufficio” anche il proprio figlio.
LA COSCA BELLOCCO Siclari, ancora secondo l’accusa, si sarebbe mosso su più fronti, come emergerebbe da una intercettazione in un procedimento a carico della cosca Bellocco di Rosarno. Da un dialogo intercettato in ambientale il 24 aprile 2018 ed intercorso tra Rocco Grasso, factotum di Bellocco Domenico (Grasso è stato coinvolto nell’operazione Ares per il reato di partecipazione all’associazione mafiosa dei Bellocco), con tale Alessandro non identificato, il primo faceva riferimento ad un favore che era stato loro richiesto e che era consistito dell’appoggio elettorale a Marco Siclari per il quale il Grasso sosteneva di avere fatto campagna elettorale: «000h ma ricordi quel favore, quello che poi abbiamo fatto qua ultimamente, quello lì quel nominativo che poi…quello che mi ha dato tu…quello che mi hai dato tu da presentare qua sotto…per portarlo avanti alle ultime cose (ndr elezioni intercorse un mese prima rispetto al dialogo ) che ci sono state…come cazzo si chiamava Siclari…ti ricordi si?…inc…in prima persona…eh…va bene dai poi ne parliamo…».
LE CONSIDERAZIONI DEL GIP Secondo il giudice per le indagini preliminari la promessa di appoggio elettorale fu «immediata» da parte di Laurendi che avrebbe chiesto materiale elettorale «per ingaggiare una vera e propria campagna elettorale in favore del Siclari». Poi sarebbe passato all’incasso, chiedendo il trasferimento da Varese a Messina per la “parente” che in realtà era parente non sua, ma di Lupoi. Senonché nella sede di Messina vi erano posti vacanti, ma inesistenti con riguardo al suo inquadramento professionale. Nessun problema, hanno creato il posto ad personam, per un profilo professionale del quale la sede messinese non era neppure organicamente provvista e indicando nominativamente proprio quella dipendente. «E’ evidente – annota il gip – che il Laurendi si mosse perché questo accadesse». «La concatenazione degli eventi – scrive il gip – consente quindi con ferrea logica, suffragata da precisi riscontri fattuali, di ritenere che Siclari Marco, raggiunto dal clan, promise utilità in favore di quest’ultimo siglando il patto promissorio illecito e dovette quindi impegnarsi, allorquando i mafiosi, che lo avevano votato come da promessa, batterono cassa chiedendo in primo luogo di fare ottenere alla Zoccali il trasferimento tanto agognato». «Non risultano in atti – sottolinea il gip – altri agganci tra il Laurendi ed altre figure di potere o altri elementi diversi dal rapporto con il Siclari, con il quale e solo con il quale si era rapportato per la soluzione del problema, che portino ad escludere che fu questi ad avere inciso sui massimi vertici aziendali fino a “creare” dal nulla un posto mai esistito». Il gip concorda con la Procura: «Orbene può ritenersi allo stato alla luce dei massicci risultati elettorali raggiunti dal Siclari nei territori di insistenza della cosca in esame e di quant’altro di seguito si dirà che egli fu votato compattamente da questa; né risultano altri agganci elettorali del Siclari con quel comprensorio diversi dal Laurendi e tali da determinare un successo così straordinario». Laurendi, argomenta il gip, non era titolare di attività economica, non un opinionista, non il direttore di una testata giornalistica, come poteva orientare il consenso elettorale? «Ordunque – conclude il gip (che ha valutato sussistenti i gravi indizi di colpevolezza e nei confronti di Siclari ha disposto gli arresti domiciliari, misura che rimarrà sospesa in attesa che il Senato si esprima sulla richiesta di autorizzazione a procedere) – se è certamente vero che non fu intercettato quell’incontro a tre fra candidato, mafioso e intermediario, può ritenersi, tuttavia, con qualificata probabilità che quell’incontro fu la teca per la stipula di un patto illecito di scambio elettorale-mafioso fra gli astanti».
LE ESIGENZE CAUTELARI Nel ritenere sussistenti anche le esigenze cautelari per Siclari, il gip annota: “Ecerto non tranquillizza avere accertato che anche esponenti di rilievo della cosca Bellocco, come emerge dal dialogo intercorso tra Grasso Rocco (coinvolto nell’operazione Ares ndr), e tale Alessandro, abbiano dirottato i loro consensi sul Siclari». (redazione@corrierecal.it)
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