di Pablo Petrasso
REGGIO CALABRIA Quando il procuratore capo della Dda di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri parla di «quadro politico sconfortante», ha ben presente le intercettazioni raccolte nell’inchiesta “Eyphemos”. Dialoghi captati nei lunghi mesi che hanno visto Domenico Creazzo passare dal Pd a Fratelli d’Italia per cercare un posto al sole di Palazzo Campanella.
LO SCOUTING CON LA LEGA Il tentativo dell’allora sindaco del piccolo centro aspromontano ruota attorno a Domenico Laurendi, capo di una delle fazioni criminali che si contendono Sant’Eufemia. È suo lo scouting avviato per scegliere la nuova casa politica prima della scalata al consiglio regionale. E questo scouting è, per i magistrati, una galleria dell’orrore politico.
Laurendi incontra personaggi che si muovono nel sottobosco del consenso. Tra questi c’è anche un professionista vicino alla Lega che spiega a Laurendi di essere uno dei papabili candidati («io ho preso una presidenza qua, non ho perso un bel bacino di voti, da tempo ho tutte queste nobildonne di Reggio»). Quest’uomo non è indagato, ma i passaggi che gli vengono riservati nell’ordinanza sono pesanti. Le sue parole, per i magistrati della Dda reggina, illuminano un «modo di ragionare (…) simile a quello degli ‘ndranghetisti», quando afferma «che “avrebbero dovuto sostenere un candidato da garantire che poi li avrebbe dovuti garantire”».
I due parlano in libertà delle future (possibili) candidature: c’è ancora tempo le Regionali (la conversazione avviene nel marzo 2019) e la ridda di nomi si sussegue. Sono tanti, secondo il professionista, «coloro che sarebbero voluti scendere in campo nella Lega». Il leghista reggino chiede a Laurendi se abbia già un contatto nel partito; lui risponde che «conosceva tutti giacché andavano da lui» e aggiungeva che «parlava con i capi prima di effettuare un incontro».
IL «PROGETTO POLITICO-MAFIOSO» Movimenti, cene politiche e trattative, per i magistrati, provano che «la candidatura di Domenico Creazzo rientrava in un unitario progetto politico-mafioso», tanto che dopo aver coinvolto il professionista vicino alla Lega, Domenico Laurendi si premura di avvertire un altro uomo legato al centrodestra «comunicandogli che la sera prima aveva cenato con “dottori, personaggi dell’ambito”». Neanche questa persona è indagata nell’inchiesta dell’antimafia di Reggio Calabria; a lui Laurendi si rivolge come «uomo di fiducia del consigliere regionale Alessandro Nicolò», arrestato nell’agosto 2019 dalla Squadra mobile di Reggio Calabria nell’inchiesta “Libro Nero” con l’accusa di essere il referente politico in consiglio regionale della cosca Libri. I contatti del presunto esponente del clan Alvaro sono funzionali a manifestare «quello che sarebbe stato il suo impegno personale nonché della sua cosca in supporto di Creazzo, ma già aveva messo sul tavolo quelle che sarebbero state le condizioni cui il politico avrebbe dovuto sottostare: “garanzia” (del risultato elettorale) in cambio di “garanzia” (di soddisfacimento delle pretese della ‘ndrangheta)».
IL MERCATO DEL CONSENSO Per la candidatura di Creazzo si muovono in tanti. Lo fa anche suo fratello Antonino, che in una telefonata alla propria moglie, nell’aprile 2019, riferisce che si sta «recando a pranzo con un Generale della Guardia di Finanza, proposto da Matteo Salvini, alla Presidenza dell’Autorità Portuale di Gioia Tauro e che l’ufficiale era venuto anche per conoscere personalmente Domenico Creazzo che sarebbe stato il candidato della Lega alla Regione Calabria». Non importa sotto quali bandiere: l’importante è candidarsi e mettersi al lavoro per raccogliere consensi. Il futuro consigliere regionale è al lavoro e attira l’interesse di entrambi i poli. A maggio, gli inquirenti registrano un incontro tra i due fratelli Creazzo e Laurendi nella sede del Comune di Sant’Eufemia. La riunione, secondo gli inquirenti, confermerebbe che «lo ndranghetista era già stato interessato dalla sua persona per il reperimento di voti in favore di Domenico Creazzo». Il sindaco, da parte sua, rivela quello che oggi potrebbe essere considerato un retroscena politico. Chiarisce, infatti, «di non aver accettato la proposta offertagli di candidarsi nel partito di Fratelli di Italia, avendo replicato che nello scenario politico regionale il suddetto movimento era accreditato per il conseguimento di massimo due seggi, mentre lui intendeva aderire alla Lega che avrebbe riscosso maggiore consenso elettorale per avere certezza della sua elezione». Al mercato della politica, in quel momento il verde era il colore più in voga. La scelta finale sarà per Fratelli d’Italia.
IL SOSTEGNO DEGLI ALVARO È a quel punto che «i fratelli Creazzo hanno avuto una chiara interlocuzione con la cosca Alvaro per il procacciamento di voti nei territori dove la stessa esercita giurisdizione mafiosa, e in particolare si sono rivolti ad Alvaro Domenico del ramo denominato “carni i cani” (già condannato per associazione di stampo mafioso nel procedimento Xenopolis, figlio di Alvaro Nicola detto “u zoppu nonché cognato del boss Crea Giuseppe e cugino di Lupoi Natale), a Cosimo Alvaro e a Francesco Vitalone». Non è mai il candidato, però, «a esporsi direttamente con i personaggi di calibro mafioso per la raccolta dei voti». Tocca al fratello Antonino. È lui stesso, intercettato, a spiegarlo: «È normale che mio fratello non si può far vedere… non si può fare vedere con Domenico… è naturale, è una cosa giusta, è una questione di rispetto per il ruolo che…». Già, tutta una questione di rispetto. (p.petrasso@corrierecal.it)
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