di Fabio Papalia
REGGIO CALABRIA Con pene variabili da un minimo di 1 anno e 4 mesi a un massimo di 6 anni e 8 mesi termina con la condanna per tutti e sette gli imputati (al netto di tre assoluzioni per singoli capi d’accusa) il processo celebrato con rito abbreviato scaturito dall’operazione Martingala. All’udienza di ieri il gup di Reggio Calabria, Valentina Fabiani ha pronunciato la sentenza.
LA SENTENZA Queste le condanne inferte dal gup, in parziale accoglimento delle richieste del pm della DDA di Reggio Calabria Stefano Musolino: Pierfrancesco Arconte, 3 anni di reclusione e 4 mila euro di multa (esclusa l’aggravante mafiosa); Tindaro Giulio Barbitta, 2 anni e 10 mesi di reclusione e 2 mila euro di multa; Domenico D’Agostino, 4 anni di reclusione e 2 mila euro di multa; Francesca Ceravolo, 1 anno e 4 mesi di reclusione; Serafina Ceravolo, 1 anno e 4 mesi di reclusione; Domenico Gallo, 6 anni e 8 mesi di reclusione e 4 mila euro di multa (esclusa l’aggravante mafiosa); Antonio Nicita, 3 anni e 4 mesi di reclusione e 4 mila euro di multa (esclusa l’aggravante mafiosa). Barbitta e Gallo sono stati assolti (perché il fatto non sussiste e per non aver commesso il fatto) da altri capi di imputazione. Rigettate invece le richieste risarcitorie avanzante dalle parti civili, la Curatela del Fallimento Tassone 1875 srl, il Comune e la Città Metropolitana di Reggio Calabria. Entro 90 giorni saranno depositate le motivazione.
I sette imputati che hanno scelto di essere giudicati col rito abbreviato, e che si sono visti applicare in sentenza la riduzione per il rito, non sono figure principali dell’indagine.
L’OPERAZIONE MARTINGALA L’operazione Martingala è stata eseguita nel febbraio 2018 dalla Dia e dalla Guardia di Finanza di Reggio Calabria, con 27 arresti e 51 sequestri, le accuse a vario titolo per reati di associazione mafiosa, riciclaggio, autoriciclaggio, reimpiego di denaro, beni, utilità di provenienza illecita, usura, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, trasferimento fraudolento di valori, frode fiscale, associazione a delinquere finalizzata all’emissione di false fatturazioni, reati fallimentari ed altro.
L’indagine è stata condotta sotto la direzione della Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria, in particolare con i sostituti procuratori Musolino e Francesco Tedesco, e con il coordinamento dei procuratori aggiunti, Giuseppe Lombardo e l’allora procuratore vicario Gaetano Paci.
LE CARTIERE Nel mirino degli inquirenti un meccanismo di false fatturazioni e movimentazioni finanziarie dissimulate dietro apparenti attività commerciali. Un gruppo di società di comodo, le “cartiere”, venivano sistematicamente coinvolte in operazioni commerciali inesistenti, caratterizzate dalla formale regolarità attestata da documenti fiscali ed operazioni di pagamento rivelatesi fittizie. Le società con sede in vari paesi dell’Unione Europea (Croazia, Slovenia, Austria, Romania) dopo solo un paio d’anni di “attività”, venivano trasferite nel Regno Unito e cessate, onde evitare accertamenti, anche successivi, sulla loro contabilità. Il riciclaggio avveniva grazie alle operazioni fittizie con cui venivano mascherati i trasferimenti di denaro da e verso l’estero. Un meccanismo collaudato che, secondo l’impianto accusatorio, vedeva tra gran parte dei clienti, anche imprenditori direttamente o indirettamente espressione delle cosche di operanti su tutti e tre i mandamenti di quell’organo sovraordinato della ‘ndrangheta noto come “Provincia”. (redazione@corrierecal.it)
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