REGGIO CALABRIA «Michele Romeo è il cognato di Giuseppe Speranza, con cui è in stretto contatto, vive in Piemonte, ma lavora presso il Comune di Mornago in Lombardia e l’indagine ha consegnato come soggetto che, disponendo di un canale di approvvigionamento suo proprio nel Nord Italia, procura armi a Laurendi e Speranza». In Comune è un dipendente modello, responsabile del settore Lavori pubblici. Per gli investigatori della Dda di Reggio calabria, il 44enne arrestato nell’operazione Eyphemos sarebbe l’armiere della cosca di Sant’Eufemia d’Aspromonte.
Il geometra – lo racconta a il Giorno il sindaco di Mornago Davide Tamborini – lavora in Comune da 15 anni. Le sue accuse hanno fatto rumore in municipio. Romeo sarebbe legato al boss Domenico Laurendi, anche per il rapporto con il cognato Giuseppe Speranza, uomo di fiducia del capo della locale, con il quale avrebbe progettato addirittura un omicidio. E avrebbe avuto il compito di custodire l’arsenale del clan.
Pistole, soprattutto, fra le quali una CZ di costruzione ceca, una calibro 38 e una calibro 22. Ma ne avrebbe avuto in custodia molte altre, al punto di non ricordarne il numero esatto né la tipologia. Le rivoltelle sarebbero state reperite fra Lombardia e Piemonte, per poi essere “girate” in Calabria. Nelle certe c’è anche un incontro, proprio a Mornago, tra Romeo e Laurendi, nel gennaio del 2018. Il boss, secondo gli investigatori, si trovava in paese per alcuni lavori. Il primo sindaco, però, spiega che nessuno dei presunti “compari” dell’impiegato avrebbe eseguito interventi nella cittadina del Gallaratese.
«SPEDISCA LE ARMI SU UN BUS DI LINEA» Il bisogno di armi da parte della cosca – e soprattutto del cognato di Romeo – pare costante.
«Anche ad agosto del 2018 – si legge nell’ordinanza – Laurendi chiedeva con insistenza a Speranza di contattare Romeo perché li rifornisse di armi, anche spedendole con un’autobus di linea». E Speranza «evidenziava che Romeo, dopo la perquisizione subita dallo stesso Speranza, stava guardingo e girava un po’ al largo. Specificava, peraltro, che il cognato in quel momento aveva almeno quattro armi (ferri), due delle quali le teneva a Sant’Eufemia». Il presunto boss, a quel punto «raccomandava a Speranza di dire al cognato di non vendere nulla, in quanto evidentemente interessato a quelle armi (“Che non venda niente!”), e di riferirgli che avevano necessità in quanto rimasti a secco, evidentemente dopo la perquisizione, non solo di armi ma anche di munizioni (“che mandi un po’ di … di “9×21” (ndr: si riferisce a
munizioni cal. 9×21)… un pacco di questi da …”)».
Dal canto suo, «Speranza ribadiva che il cognato, appena arrivato a Sant’Eufemia, avrebbe dovuto cedergli una delle pistole che teneva custodite in loco (“un’altra, ora come scende deve andarla a prendere e darmela!”)».
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