VIBO VALENTIA Non è stato facile, ma ci sono scelte più grandi dello sport. E questo Pippo Callipo lo sa. Dover rinunciare al PalaMaiata in una stagione difficilissima per la Tonno Callipo non è cosa che si faccia a cuor leggero. L’imprenditore non lo nasconde. Perché il progetto del volley non ha senso al di fuori da Vibo Valentia. Ma, forse, neppure la celebrazione del maxi processo “Rinascita Scott” avrebbe senso altrove. E davanti a certi passaggi, che sono storici per la provincia e per la Calabria, un passo indietro è comprensibile.
Come ha reagito quando ha saputo che il PalaMaiata era finito nel “mirino” del Ministero della Giustizia?
«Diciamo che non ho esultato… è stata l’ennesima tegola che ci è caduta in testa in una stagione che si è rivelata difficile anche a causa dei vari trasferimenti. La squadra ha dovuto giocare a Reggio Calabria tutto il girone di andata e la prima di ritorno, quindi i nostri atleti sono stati costretti a fare spostamenti anche per le partite casalinghe. Poi il 5 febbraio siamo riusciti, dopo aver investito circa 350mila euro in lavori di adeguamento, a giocare al PalaMaiata, l’unica struttura che a Vibo è al di sopra del limite di 3mila posti fissato dalla Lega Volley. Ma abbiamo giocato qui solo due partite e ne giocheremo altre tre fino alla fine del campionato. Proprio quando pensavamo di aver finalmente trovato casa ci è arrivato un preavviso di sfratto».
Dunque è molto contrariato dalla decisione del Ministero.
«No, sono semplicemente sincero. La mia prima reazione non è stata dettata da egoismo, il fatto è che mi preme moltissimo che questa realtà sportiva rimanga a Vibo perché, almeno secondo me, può contribuire a costruire quel senso di comunità che qui è sempre mancato. Quando abbiamo iniziato dalla C2, nel 1993, nessuno ci credeva, ma dopo dieci anni siamo arrivati nella massima serie. È Vibo, non io, ad essere in A1 e la Volley Tonno Callipo non ha ragione di esistere fuori da Vibo. Detto questo, sul PalaMaiata sta avvenendo un passaggio storico per la Calabria che va molto oltre lo sport e non sarò certo io ad oppormi».
Un luogo di sport, di socialità, tra qualche mese diventerà la più grande aula bunker del Sud. Le sembra un fatto positivo?
«Io spero che da luogo di sport si trasformi in luogo di giustizia. Anni fa chiesi all’allora presidente della Repubblica Ciampi di inviare l’esercito in Calabria, la mia fu una reazione alla violenza del racket che in quel momento imperversava in modo particolare in tutta la provincia di Vibo, ma so bene che per estirpare la mafia non basta militarizzare il territorio. Ora, dopo il terremoto dell’inchiesta Rinascita-Scott, non credo si debba ridurre il discorso agli effetti positivi o negativi per l’immagine della Calabria, e nemmeno cedere alla tentazione di essere colpevolisti o innocentisti prima che si celebrino i processi. Ma determinate scelte hanno una valenza sociale che va al di là dei risvolti giudiziari».
Dunque questo processo bisognava celebrarlo a Vibo a ogni costo?
«No, ovviamente non ad ogni costo, ma penso che sia importante che si celebri dove i fatti principali al centro dell’inchiesta si sono consumati. È Vibo il cuore degli intrecci perversi che forze dell’ordine e magistratura stanno tentando finalmente di scardinare. È un territorio che vive da troppi anni sotto una cappa soffocante di connivenze ed è necessario che lo Stato faccia finalmente sentire la sua presenza. Il grande lavoro che stanno facendo le Dda di Catanzaro e Reggio sta frantumando il sistema criminale che ha dominato la Calabria per decenni. È il momento in cui le forze sane della società non possono girarsi dall’altra parte. Anche per questo – e non è stata certo una scelta di convenienza – non ho esitato a rinunciare al PalaMaiata». (redazione@corrierecal.it)
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