di Michele Presta
COSENZA «Ero il più giovane di quella squadra mobile, ma a pensarci bene lo ero dell’intera Questura». Francesco De Marco non ha più cambiato divisione. A portarlo nell’antidroga fu Nicola Calipari: «Mi strappò alla Digos. Fu una sua intuizione, gli devo praticamente tutto. Ma era fatto così, quando si affidava a delle persone lo faceva solo dopo averle valutate attentamente». A quindici anni dalla morte dell’ex dirigente della Questura cosentina, Francesco De Marco (oggi ispettore superiore) è l’ultimo in servizio di quel gruppo di poliziotti che in città fronteggiò con sacrifici e abnegazione la prima guerra di ’ndrangheta nel pieno degli anni Ottanta. «Avevo 22 anni». Di quel superiore nato a Reggio Calabria, arrivato a Cosenza e morto in Iraq sotto il fuoco dei proiettili americani durante la missione di salvataggio della cronista Giuliana Sgrena, l’ispettore ha un ricordo lucido. «Non potrebbe essere altrimenti. Anche perché continuai a frequentarlo. Era orgoglioso di me e ricordo che nel 1995 quando iniziai il corso da ispettore diceva a tutti che ero una sua intuizione». In Calabria, Calipari non aveva maturato solo l’esperienza di fronteggiare l’élite criminale del paese, ne apprezzava il capitale umano di colleghi con cui aveva affrontato giorni bui come la notte. «Non si è mai dimenticato della Calabria e lo stesso ha fatto con le persone che hanno lavorato con lui».
IN AUSTRALIA AL RIPARO DALLE IRE DEI BOSS La macchina sulla quale si trova adagiato il corpo senza vita di Nicola Calipari è traforata dai proiettili dei Marines. Non ha resistito agli spari provenienti dal check point statunitense e forse negli ultimi istanti della sua vita avrà pensato quanto fosse cinico e baro il destino. Morto sotto il fuoco amico, quando in realtà a volerne il sangue un ventennio prima erano i boss della criminalità cosentina. «Di colpo venne spedito in Australia – racconta De Marco –. Ci dissero che per conto della polizia doveva studiare i primi insediamenti di ‘ndrangheta da quelle parti. Nello specifico, doveva riconoscere i dialetti di una famiglia reggina contigua ad alcuni gruppi criminali che si era da poco trasferita da quelle parti. Lavorò a quella pista ma i motivi dell’allontanamento da Cosenza erano altri».
Gli ordini dei superiori non si contestano. La Squadra mobile di Cosenza prosegue nelle sue attività. Passano diversi mesi, poi Calipari torna a Cosenza a bordo di una Giulietta blindata targata Caltanissetta e con un codazzo di uomini di scorta al seguito. «Non si trattava di una missione all’estero. Volevano proteggerlo – continua nel racconto De Marco –. A Cosenza si era consumato uno dei delitti eccellenti: quello di Sergio Cosmai. Il direttore del carcere aveva con Nicola Calipari un rapporto strettissimo e questo lo sapevano bene i gruppi criminali che soffrivano delle restrizioni del nuovo direttore dell’istituto penitenziario. Erano due persone che ai gruppi presenti in città davano più di un pensiero». Franco Pino da una parte, Franco Perna dall’altra. In città le scorribande di fedelissimi con il grilletto facile. «Calipari era da supporto a Sergio Cosmai e la sua morte fece scattare un protocollo d’emergenza anche per il nostro dirigente». Rimase a Cosenza solo qualche mese dopo quella trasferta australiana, prima di essere trasferito a Roma. «Quando venne mandato in Australia, fu una decisione drastica e scoprimmo che gli aveva procurato anche dei problemi familiari. Trasferirsi così d’improvviso lasciare la moglie e i figli che andavano a scuola – continua l’ispettore De Marco – non fu una cosa facile. Non ci spiegò tutto il male che gli procurò quella scelta improvvisa, ma non fu facile e noi riuscivamo ad avvertirlo».
POLIZIOTTO VECCHIO STILE «La porta del suo ufficio non era mai completamente chiusa. Era concentrato sulle sue cose, alcune volte a tal punto che nonostante gli parlassimo più che una conversazione sembrava un monologo – ricorda De Marco – ma non gli sfuggiva nulla, era incredibile. Avevamo un problema e lui lo risolveva». Gli anni e le tecniche di indagine della polizia sotto la direzione Calipari erano completamente doversi da quelli dei giorni d’oggi. «Avevamo delle fonti che ci davano delle imbeccate e poi stava a noi investigare. Calipari però aveva delle doti uniche – racconta l’ispettore De Marco –. Era un poliziotto di strada ma scriveva divinamente. Riusciva a riportare tutto quello che succedeva in modo chiaro ed in equivoco».
Dagli uffici della mobile di Cosenza in quegli anni passarono delitti, rapine, estorsioni. Un formulario di reati completo. «Noi abbiamo assistito al cambio delle dinamiche della criminalità cosentina. Dalle sole tangenti siamo passati al narcotraffico. Inizialmente criminali del calibro di Franco Pino erano contrari al traffico della droga, poi visti i guadagni tutto cambiò». Con Cosenza, quell’uomo con i baffi come imponeva la moda di un tempo, aveva un rapporto straordinario. «Ricordo che con Francesco Mollace, sostituto procuratore poi trasferito alla Dda di Reggio Calabria, erano in ottimi rapporti, così con tutta la città – conclude De Marco -. Caliparì era così: un uomo schietto, riservato, fugace ma che non si manteneva mai distante dalle cose. Il classico poliziotto taciturno e silenzioso ma che risolveva qualsiasi tipo di problema gli capitasse a tiro».
LA QUESTURA DI COSENZA Il gesto di estremo altruismo di Nicola Calipari nella liberazione di Giuliana Sgrena è ormai patrimonio storico nazionale. Negli uffici della squadra mobile di Cosenza una targa ne ricorda il passaggio «A Nicola Calipari… per sempre la sua squadra». Nella giornata di oggi, il questore Giovanna Petrocca insieme agli altri agenti commemorerà la scomparsa. Lo stesso farà la rivista “Polizia Moderna” le cui tavole della prossima avventura del “Commissario Mascherpa” saranno dedicate alla vita del poliziotto calabrese morto in Iraq. (m.presta@corrierecal.it)
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