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«L’autonomia differenziata e il “residuo fiscale regionale”»

di C. E. Mollica*

Pubblicato il: 04/03/2020 – 9:56
«L’autonomia differenziata e il “residuo fiscale regionale”»

Con l’autonomia “differenziata”, nel contesto del sistema tributario nazionale, emerge la prospettiva del c.d. “federalismo fiscale differenziato”.
La cui base “ideologica” è il concetto di “residuo fiscale”, sviluppato da Eupolis Lombardia (Istituto di ricerca Regione Lombardia) in uno studio nel 2014, Analisi del residuo fiscale, quale differenza, saldo positivo o negativo, tra quanto un territorio regionale versa allo Stato sotto forma di imposte e quanto riceve sotto forma di spesa pubblica, stimata in oltre 47 miliardi di Euro in più per la Regione Lombardia, 13 mld per l’Emilia Romagna e 11 mld per il Veneto.
Questo concetto di residuo fiscale regionale, negli anni riportato in pubblicazioni e ricerche, è giuridicamente inconsistente.
Per il sistema tributario italiano le uniche somme che, interamente ed esclusivamente versate nel rispettivo territorio, affluiscono al bilancio di ogni Regione a statuto ordinario sono i tributi propri, quali Irap, Add. Reg. Irpf, Tassa autom.reg., ecc.. E le imposte erariali (non locali), circa l’80% delle entrate nel bilancio dello Stato, sono un prelievo coattivo di ricchezza da tutti i contribuenti e sono versate, a seconda dell’imposta, in proporzione alla capacità contributiva per finanziare i servizi pubblici indivisibili e la spesa pubblica della nazione (art. 53 Cost.”Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”).
Quindi se non c’è “raccolta” in una Regione, se non sussiste alcuna “territorialità” e manca il rapporto diretto tra il versamento di imposte e il beneficio goduto (i servizi pubblici) un “residuo fiscale” non può esistere.
Un ragionamento per maggiori risorse dallo Stato ad un territorio, i cui residenti versano di più di imposte per essere a maggiore capacità contributiva, vale quanto la richiesta di un condominio di ricchi di avere, per legge, più servizi pubblici.
Eupolis Lombardia riporta il concetto di residuo fiscale “regionale” al principio equal treatment for equals, dell’economista J.M. Buchanan (Federalism and Fiscal Equity,- 1950), che vale la pena di analizzare.
James M. Buchanan, per dare una spiegazione etica a trasferimenti di risorse dagli Stati più ricchi a quelli meno ricchi degli Stati Uniti, sostiene il principio di «uguale trattamento per gli uguali dovunque si desideri risiedere nella nazione», di conseguenza l’attività pubblica dovrebbe garantire a cittadini uguali, sotto il profilo del reddito, l’uguaglianza dei residui fiscali, termine con il quale identifica il saldo tra il contributo che ciascun individuo fornisce al finanziamento dell’azione pubblica e i benefici che riceve sotto forma di spesa pubblica.
Quindi in Italia, una (corretta) trasposizione della teoria del premio Nobel Buchanan, comporta che un individuo uguale sotto il profilo del reddito (un calabrese che guadagna quanto un lombardo) dovrebbe avere garantito dall’attività pubblica uguaglianza di trattamento.
Viceversa in Italia nel corso degli ultimi decenni le risorse pubbliche sono state distribuite in modo “differenziato”, e come certificato da (recenti) studi le Regioni del nord Italia ricevono dallo Stato un quantitativo di spesa annua nettamente superiore alla media nazionale.
Il punto è che il c.d. “residuo fiscale regionale”, altrimenti giuridicamente infondato, si realizza con la legge sull’autonomia “differenziata” (compartecipazione ai tributi erariali per le funzioni statali trasferite), formando un nuovo quadro istituzionale.
E se le dinamiche di distribuzione di risorse pubbliche in Italia sono già così “differenziate” (Istat – Nel 2017 la spesa sociale pro capite del Sud è 58 euro contro i 172 euro del Nord-est), anche, a seguito della riforma 2001 del titolo V della Costituzione e della legge n.42/2009 c.d. Legge Calderoli, la legge sull’autonomia “differenziata”, è il tirare tanto la corda che si spezza.
La compartecipazione ai tributi erariali (qualsiasi versione: costo storico o Lep) ha un impatto dirompente sull’assetto della finanza pubblica e sul sistema tributario italiano, una sorta di “sottrazione” di decine di miliardi di risorse non più versate allo Stato per finanziare la spesa pubblica della nazione ma con un vincolo regionale “differenziato”, quindi non più nella completa utilizzabilità dell’amministrazione statale.
E se le Regioni differenziate diventano, grazie al “gioco delle tre carte costituzionale”, zone fiscalmente protette come le Regioni a statuto speciale, partecipano alla spesa pubblica nazionale “solo” tramite accordo bilaterale?
E il finanziamento allo Stato, quando anche istituiti i Lep che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, sarà sostenuto solo dalle risorse dei cittadini delle (restanti) Regioni ordinarie?
E (paradosso) con un “federalismo fiscale differenziato” saranno solo le imposte versate dai cittadini delle Regioni ordinarie a finanziare nelle Regioni “differenziate” la spesa pubblica nazionale? (Difesa, forze armate, dogane, sicurezza, infrastrutture pubbliche e trasporti, pubblica amministrazione, tribunali, ricerca e sviluppo, calamità naturali, politica industriale ecc.).
Se è convincimento generale che la funzione fiscale denota un elemento qualificante ed imprescindibile della sovranità, quale idoneità a governare una collettività organizzata, l’introduzione, in una logica di rapporti di forza politico/territoriali, del “residuo fiscale regionale” con un federalismo fiscale “differenziato”, mette in discussione la stessa cornice istituzionale, perché i principi costituzionali di coesione e di solidarietà validi per l’intera nazione non possono essere tramutati in una vessazione fiscale, un fardello socio/economico insostenibile per i cittadini delle Regioni ordinarie, che non ha precedenti in altri Stati.
*Osservatorio sul Federalismo fiscale

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