LAUREANA DI BORRELLO Sono passati ormai quattro anni dal quel 6 maggio del 2016, giorno in cui Maria Chindamo, imprenditrice di Laureana di Borrello, è sparita dalla sua proprietà di Limbadi, in provincia di Vibo Valentia. Da allora, infatti, nessuna traccia della donna 44enne è stata più ritrovata, con gli inquirenti sempre più convinti che sia stata uccisa e fatta sparire per vendicare la morte del marito Ferdinando Punturiero, morto suicida un anno prima della sparizione della moglie. Una punizione per la Chindamo organizzata a tavolino. In quattro anni si sono susseguite tante ipotesi e diversi filoni investigativi ma senza giungere, finora, alla soluzione di quello che ormai è un vero e proprio “cold case”.
LE TESTIMONIANZE E le indagini degli investigatori continuano, anche grazie a due testimonianze che potrebbero rivelarsi fondamentali. Le ha raccolte la nota rivista Giallo pubblicate nel numero in edicola questa settimana. «Sono uscito sulla stradina nella proprietà in cui abito e ho notato l’auto della signora Chindamo ferma all’ingresso. Il cancello era chiuso. C’era solo l’auto, con il motore ancora acceso. Ho notato del sangue sparso sulla carrozzeria e anche per terra. Poi è arrivato il trattorista che quella mattina doveva fare il trattamento sui kiwi». Questa la prima testimonianza, quella di Alessandro Dimitrov, l’operaio della Chindamo, utile a ricostruire quanto avvenuto la mattina del 6 maggio del 2016. Una versione dei fatti che si scontra, però, con quella di Domenico Lombardo, l’altro operaio che proprio quella mattina doveva eseguire il trattamento sulle piante e che ha raccontato come al suo arrivo Dimitrov fosse ancora entro la proprietà, ma già a conoscenza di quanto accaduto e di aver visto le tracce di sangue dell’auto solo in un secondo momento.
L’UOMO CON IL CAPPELLINO Ma è ancora lo stesso Dimitrov a raccontare di aver visto, proprio attorno all’auto della Chindamo, un uomo con un cappellino bianco. Secondo gli inquirenti l’uomo potrebbe c’entrare qualcosa con l’episodio relativo alla manomissione delle telecamere della proprietà di Salvatore Ascone, che si trova proprio di fronte a quella di Maria. L’ultimo acceso al sistema, infatti, è stato registrato solo qualche minuto prima dell’arrivo dei carabinieri sul posto. Ma non è tutto. Già perché sempre secondo quanto ricostruito da “Giallo”, ci sarebbe anche una terza testimone anonima che avrebbe raccontato come quella mattina, attorno alle 7.10, ci fosse un’auto nera dietro a quello di Maria Chindamo oltre ad un vecchio fuoristrada.
CASO IRRISOLTO Insomma, ancora tanti dubbi e punti interrogativi rimasti in sospeso. E poi c’è Salvatore Ascone, il proprietario della villa di fronte al terreno della Chindamo, indagato insieme al figlio e accusato di aver manomesso le telecamere di sorveglianza che avrebbero ripreso quanto accaduto la mattina del 6 maggio 2016. (Gi.Cu)
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