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«Un parlamentare del Sud con la Costituzione in mano»

di Romano Pitaro*

Pubblicato il: 04/03/2020 – 15:39
«Un parlamentare del Sud con la Costituzione in mano»

“L’io, io!… il più lurido di tutti i pronomi!…” E’ la dissacrazione che si rinviene nella “Cognizione del dolore” dell’immenso Carlo Emilio Gadda. Certo, se ad esaltare il ‘noi’ in spumeggiante contrapposizione all’escludente ‘io’ sono quei politici avvinti dal “presentismo” (copyright Giuseppe De Rita) che calcano la scena “come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna” e il cui rumoreggiare è “sottomesso all’immediatezza”, c’è da sospettare. Da non dar retta a loro né al pronome personale plurale, tantomeno all’io che, in quest’Italia frastornata, evoca la supremazia dei partiti personali e di quelli leaderistici. Tanti leader tanti partiti che privi di “una visione in grado di costituire una pluralità di persone in una comunità politica” mandano gambe all’aria il Paese.

Nella lettura dei singolari e dei plurali, in una società attraversata da potenti innovazioni tecnologiche e da narrazioni sfasciate in collisione con la democrazia liberale, che offre il giuslavorista deputato del Pd Antonio Viscomi, in un volume (“Dall’io al noi”, introduzione di Graziano Delrio, Rubbettino editore) con in copertina i volti di tanti giovani colorati, l’io perde la drammaticità gaddiana, assumendo le forme e le movenze di una composta riflessione laica sul suo necessario superamento e sulla sua dissolvenza in un noi all’insegna di un politically correct che diventa “persone, comunità e impegno condiviso”. Non merce avariata, sopraffatta dalle grida narcisistiche che ingolfano il dibattito pubblico, ma idee e pensieri ispirati a quella cultura politica costituzionale contraddistinta da locuzioni come bene comune, sussidiarietà solidale e solidarietà efficiente. Una cultura politica che poggia sulle spalle di giganti come don Sturzo e Aldo Moro (più volte citati) e che suggerisce di ridefinire l’impegno “con umiltà, studio e riflessione quotidiana”, non derogando mai dal coraggio della verità, dal dovere di parlar chiaro e dalla capacità di guardare lontano, se si vogliono capire i mutamenti sociali ed evitare l’irrilevanza, la liquidità e l’afasia della sfera politica. Patologie da cui, conviene Viscomi, il Pd non è immune. Una cultura improntata al rispetto dell’identità politica, etnica e religiosa, sessuale e sociale dell’ “altro”, che non è un nemico da travolgere ma il portato di cui arricchirsi di una vicenda di migrazione di cui è zeppa la storia dell’umanità. E che esige un atteggiamento di rispetto per i diritti delle minoranze, tanto più delle enclave socialmente deboli. Siano le donne, discriminante nel mondo del lavoro, i migranti senza cui il populismo mancherebbe d’audacia, i Rom o i meridionali delle aree più svantaggiate. Tutto ciò traspare limpidamente dalla selezione di interventi di cui consta il volume e che l’on. Viscomi, Costituzione in mano, ha pronunciato, dal 2018 ad oggi, nell’Aula di Montecitorio (dal dibattito sulla povertà al “Decreto dignità”, dalla questione migranti al reddito di cittadinanza come intese dal governo gialloverde, dalla riforma della pubblica amministrazione al “Decreto Calabria” sulla sanità contrastato perché innesca “una terapia sbagliata”); dagli scritti pubblicati da “Democratica.com” (dal “rumoroso silenzio sul Mezzogiorno a Riace scesa in piazza per difendere il suo modello di accoglienza, dal “Decreto Bongiorno, oscuro e costoso” al “Decreto Di Maio” sulle assunzioni in occasione delle punte stagionali per finire con una lezione sul salario minimo) e sui suoi post su Fb, i suoi tweet e hashtag. Pur diffidando della parola eterea, fluida e volatile che “pare aver surrogato gli atomi con i bit”, in due anni di Montecitorio Viscomi non si è negato ad Internet. E ha riversato nella Rete idee, spunti di riflessione anche su temi per la cui comprensione serve la tecnica giuridica, recensioni di volumi e resoconti critici di assemblee e riunioni a Roma e in Calabria da cui si evince – da un lato – il suo il suo disappunto verso linguaggi che, come scrive il sociologo Franco Ferrarotti, indifferenti ai contenuti e polverizzando il vincolo logico-sintattico, disgregano la struttura interiore dell’individuo e – dall’altro – l’immane difficoltà di fare politica, anche sedendo in Parlamento, per chi si ostina a non cedere alle mode del momento inclini a fare ammuina e limitarsi a votare ubbidienti all’appartenenza, piuttosto che a soffermarsi sul merito degli argomenti trattati. Un lineare diario parlamentare, questo dell’on. Viscomi, al primo impatto. Poi interessante, per la cognizione di causa e la vivacità lessicale con cui analizza molti problemi dell’attualità, li anestetizza, li disseziona per cavarne il buono e il malvagio e li espone coram populo con chiarezza estrema. Infine, quasi un racconto introspettivo che, tra le righe, filtra la delusione per le sconfitte, quando ciò che vale non è se decreti e leggi, dal suo punto d’osservazione, strangolano la Costituzione, ma la fredda e inesorabile conta dei voti. Non disarmato né vinto, però. Perché, nello scenario desolante della psicolabilità politica italiana, da uomo del Sud di buone letture e radici ben piantate nella Calabria “categoria morale prima che espressione geografica”, Viscomi non demorde e incalza (primo fra tutti il Pd) perché si renda possibile “un nuovo immaginario collettivo”, “una nuova visione per integrare in un’unica cornice prospettive, valori, interessi differenti, da portare a sintesi, consapevoli che un partito è una comunità innervata su fini comuni”. E ancora: “Abbiamo bisogno di spazi e luoghi per parlare di politica, per consentire alle diverse identità e culture di incontrarsi in una prospettiva più ampia”. Parole, vero. Ma dalle parole bisogna iniziare, non è forse vero che “in principio era il Verbo”? Dalle parole non scisse dalla memoria di cui si ha un disperato bisogno. E poi, così Viscomi ha concluso una sua arringa alla Camera: “le parole servono per far le cose”.

*giornalista

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