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«Ci serviva un esempio per chi non pagava». I pentiti raccontano l’uccisione di Nigro

Nei verbali della Dda di Catanzaro la spiegazione della decisione di uccidere l’imprenditore cosentino maturato nel gruppo Perna-Pranno. Le confessioni del killer: «Arrivai sulla porta e lo sparai,…

Pubblicato il: 06/03/2020 – 16:10
«Ci serviva un esempio per chi non pagava». I pentiti raccontano l’uccisione di Nigro

di Michele Presta
COSENZA «Ci dissero che quell’omicidio serviva da esempio a chi non pagava». Si trovava di spalle, intento a sistemare le ultime cose prima dell’apertura di una pelletteria a Via Popilia, il giorno in cui Santo Nigro morì per mano della mala cosentina. Agli inizi degli anni ottanta la guerra di ‘ndrangheta a Cosenza mieteva vittime non solo tra gli esponenti delle cosche ma anche tra chi doveva foraggiare le attività dei gruppi. Le estorsioni a danno degli imprenditori servivano per avere armi sempre nuove e funzionanti, proiettili e autoblindate e per questo l’omicidio di Santo Nigro servì come ammonimento agli altri imprenditori finiti nella rete usuraia: o paghi o muori. A distanza di 39 anni la Dda di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri risolve uno dei cold case irrisolti e rimasti fuori da processi importanti come “Garden” (qui la notizia). Due gli indagati destinatari della misura cautelare in carcere: Mario Pranno e Francesco Cicero, ma insieme a loro finiscono nel registro degli indagati anche Pasquale Pranno, Francesco Saverio Vitelli, Aldo Acri e Antonio Musacco, tutti vicini all’epoca dei fatti al gruppo Perna-Pranno. Anche in questo caso, le indagini, sono il frutto di dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia ai pm antimafia che nel corso di questi decenni hanno riempito le pagine di verbali confermando delle circostanze emerse già nei primi anni 90.
L’OMICIDIO DECISO DAL GRUPPO PERNA-PRANNO Le direttive impartite al gruppo di fuoco dai boss con sede nel quartiere di San Vito erano semplici: Nigro deve morire. Doveva pagare lo sgarro di una estorsione mancata, chiesta con cortesia e finita a male parole. «Questo omicidio è maturato all’interno del nostro gruppo per il fatto che anche a Santo Nigno era stata richiesta l’estorsione, ma lui non voleva pagare per il fatto che sosteneva di avere amicizie nella criminalità, in particolare affermava di essere vicino a Franco Muto» racconta ai magistrati il collaboratore di giustizia Giuseppe Vitelli. Una circostanza che conferma anche il fratello Saverio Vitelli: «All’epoca fu messa in atto un’attività sistematica di estorsioni, e sotto il nostro tiro capitò anche il negozio del Nigro. Questi fu avvicinato e richiesto della “mazzetta” da parte di uomini di Mario Pranno ma egli rifiutò di sottostare alla richiesta estorsiva, appoggiandosi poi sul fatto che egli era compare di Franco Muto, “uomo d’onore” della costa tirrenica. Poiché questi non poteva sottrarsi in quel modo alla richiesta estorsiva fu decisa la sua morte da parte di Mario Pranno». Quel pomeriggio del 18 novembre del 1981 in tre arrivarono al negozio in allestimento e oltre a Santo Nigro, venne ferito anche suo figlio. Due, con il volto coperto da un passamontagna, entrarono nel negozio un terzo faceva da vedetta fuori affinché tutto filasse liscio e senza intoppi. A presentarsi da Nigro, sarebbero stati in tre: Aldo Acri, oggi collaboratore di giustizia ma per il fatto individuato come esecutore materiale, Carmine Luce morto ammazzato anni dopo e Francesco Cicero fratello del boss ergastolano Domenico con il compito da fare da palo.
LE CONFESSIONI DEL KILLER Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia circa l’intenzione che a volere la morte di Nigro furono Mario e Pasquale Pranno insieme a Francesco Vitelli sono inequivocabili, così come a sparare fu Aldo Acri. Per il suo primo compito, il giovane killer venne assoldato dai boss perché era l’unico in grado di capire quali fossero le abitudini della vittima. Nonostante decise di collaborare mentre si stesse celebrando il processo Garden, Acri, vanta almeno 10 omicidi ma il battesimo di fuoco non si dimentica mai. «Pranno mi chiamò e mi disse che (Nigro ndr) praticamente non aveva voluto pagare e si doveva dare, diciamo una lezione per far capire a tutti quanti che chi non paga…». Aldo Acri si convince dunque che è arrivato il momento d’agire. Controlla la toponomastica di una Cosenza diversa da quella di oggi, studia i movimenti come avrebbe fatto un sicario di professione e dai mandanti riceve la pistola che da li a qualche ora avrebbe dovuto far fumare. Non riesce ad eseguire a perfezione il compito, non mira alla testa ma i colpi ricevuti da Nigro nella zona tra il torace e la spalla furono letali. «Mi disse che dovevo fare l’omicidio – racconta ai magistrati – io non ne avevo mai fatti omicidi e gli ho detto: “Ma io da solo come ci vado?” e mi ha risposto: “Tu non ti preoccupare, ti spiego io come devi fare “. Siamo arrivati al negozio e siamo entrati, è stato una frazione di secondo. Mario Pranno e Francesco Vitelli mi dissero: “Mi raccomando, tu quando entri sparalo in testa. Così non hai problemi, vai sicuro”. Io come sono entrato, sono restato sulla soglia, ho sparato a distanza perché l’ho trovato di spalle. Ho sparato 3 o 4 colpi, adesso di preciso non lo ricordo. E niente, è successo il fatto e ce ne siamo andati al cambio dove ci aspettavano Mario Pranno e Vitelli Francesco. Loro avevano una 127 di colore bordò che era di proprietà di Pranno, e mi hanno detto, “L’hai fatto?” ho detto: “Si, ho sparato, però non lo so se… se morto o é vivo”. E niente, poi successivamente ho appreso che era morto». Di queste circostanze, secondo il pentito Roberto Pagano veniva notiziato anche il boss Franco Perna. «Naturalmente il Perna, quale capo assoluto dell’organizzazione, pur se detenuto veniva notiziato di quanto accadeva attraverso comunicazioni esterne al carcere che egli apprendeva semplicemente affacciandosi dalla finestra. Naturalmente non si poteva parlare chiaramente ma a gesti e con parole simboliche e gergali si comunicava perfettamente. Seppe della decisione di colpire il Nigro e diede il suo benestare».
10 MILIONI SUBITO, POI 500 OGNI MESE La famiglia di Santo Nigro era proprietaria anche di un altro negozio di calzature a Via Panebianco. Ma non pagò soltanto con il sangue. Come riferisce Francesco Tedesco, dopo l’omicidio i familiari della vittima si determinarono al pagamento di una somma di denaro mensile in favore del gruppo criminale. Spiega Francesco Saverio Vitelli che: «Per come mi disse Mario Pranno, dopo la morte di Santino Nigro la sua ditta comunque pagò la “mazzetta” che corrispondeva ad una cifra che si aggirava Ira i 10 e i 20 milioni di lire in un ‘unica soluzione». Oltre a questi, dalle carte dell’inchiesta, emerge anche come per qualche anno i familiari pagarono anche delle tangenti da 500mila lire al mese per qualche anno. (m.presta@corrierecal.it)

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