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REPORTAGE | Vivere il quotidiano nella "zona rossa" d’Italia

Le nuove limitazioni imposte dall’ultimo decreto Conte per ridurre la diffusione del coronavirus costringe chi vive in Lombardia a severe rinunce. Tra angosce e speranze la vita scorre con la consa…

Pubblicato il: 08/03/2020 – 16:15
REPORTAGE | Vivere il quotidiano nella "zona rossa" d’Italia

di Roberto De Santo
LECCO È come vivere in una bolla. Una bolla che ci circonda e che interessa ognuno di noi. Cercando di trovare la normalità nei gesti consuetudinari del quotidiano: fare la spesa, due passi al centro, due chiacchiere con gli amici. Ma poi è negli occhi delle persone che incontri per strada che rivedi – come uno specchio – le tue paure. Razionalmente tenute a bada dentro una circonferenza ristretta di alcune, forse troppe poche certezze. Vivere in una città del nord Italia, Lombardia, in quella che viene definita “zona rossa”, è questo. Un nome che, in qualche modo, evoca linee di trincea, percorsi di guerra, come quella “invisibile” che si sta portando avanti contro un virus che per la stragrande maggioranza delle persone resta misterioso. Così le strade nel centro di Lecco si circondano di una sorta di fantasmi, persone che apparentemente svolgono le loro solite faccende, ma che all’interno portano i segni della grande paura. D’altronde sono le stesse autorità a chiedere prudenza: evitare contatti ravvicinati, strette di mano, incontri in luoghi pubblici chiusi. Già i luoghi pubblici. Da queste parti sono il “cuore” pulsante della vita sociale. Cinema, forum, conferenze. Ma anche e soprattutto chiese, auditorium, oratori, campi di calcio e strutture sportive dove si praticano di fatto tutte le discipline. Aree che fino a qualche giorno addietro scandivano la vita di decine di migliaia di persone, famiglie intere e raccoglievano figli nello svolgimento delle attività sportive. La quotidianità è fatta di questi passaggi – padri e madri che accompagnano i loro figli a fare sport e a seguire le attività agonistiche – che all’improvviso sono svaniti nel nulla. «Si comunica che in considerazione della situazione originata dall’emergenza “coronavirus” e dell’impossibilità di programmare l’attività delle rappresentative provinciali, l’edizione 2019/2020 del Torneo delle Provincie è annullata». Un messaggio – come tanti altri diramati dagli organi di varie discipline sportive – giunto dal Comitato regionale Lombardia della Federazione italiana gioco calcio che azzera mesi di allenamenti e aspettative di atleti. Provvedimenti che si sommano a quelli già più conosciuti ed impattanti della chiusura delle scuole. Una decisione dura che ha costretto centinaia di migliaia di studenti a rimanere a casa ed a inventarsi un modo nuovo di studiare e passare il tempo: lezioni a distanza, compiti assegnati sulle piattaforme informatiche attivate dalle varie scuole. E confronti tra compagni da tenersi in simultanea online. Con le famiglie da fare ancor più da collante e da filtro contro le angosce di una quotidianità stravolta dall’emergenza.
Ogni occasione è buona per saltare un incontro, slittare un appuntamento, rinviare un dibattito. Spostare in là un viaggio, un week end fuori porta. Aspetti questi ultimi che se per le prime due settimane – vissute sotto le indicazioni previste per le “zone gialle” – erano misure prudenziali affidate al buon senso di ognuno, dopo il varo dell’ultimo decreto del governo Conte sono divenuti divieti. Le nuove misure nazionali di contenimento dell’emergenza Coronavirus, con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale avvenuta alle 13 di domenica, prevedono infatti il divieto di ingresso ed uscita dalla Lombardia. Un passaggio vissuto da ognuno con un incremento di angoscia. «Non so neppure se rimarremo aperti la domenica», spiega la cassiera del supermercato dove abitualmente si va a far la spesa. Ed i timori per rimanere chiusi in casa sine die, spinge tanti a fare incetta di beni di prima necessità, quasi a voler in questo modo fronteggiare innanzitutto quei timori interiori, più che reali esigenze. I supermercati, infatti, non scarseggiano di viveri e gli approvvigionamenti dei prodotti avvengono regolarmente. Ma tant’è.
Nel frattempo tutto è contingentato: l’ingresso nei locali pubblici, nelle farmacie e nei market. «Chiediamo alla clientela di entrate nel locale pochi alla volta, rispettando le distanze al fine di evitare ammassamenti», si legge in più di un locale pubblico. Mentre in un altro compare l’avviso «Si comunica che l’accesso al negozio sarà consentito a un numero massimo di 12 persone contemporaneamente». Ed ancora «Avvisiamo la gentile clientela che il nostro personale potrebbe usare le mascherine a scopo precauzionale, per cautelare la vostra salute». Già le mascherine. Un bene che a queste latitudini è divenuto introvabile. Il modello Ffp3 e Ffp2 – gli unici dicono gli esperti in grado di tutelare meglio – sono introvabili da giorni. Ma iniziano a scarseggiare anche quelli medicamentali mono uso. Anche se, per la verità, si vedono decisamente pochissime persone in strada ad utilizzarne una. Si acquista e si mette da parte, nel caso la situazione dovesse precipitare. Come a scarseggiare sono alcuni prodotti per la cura della persona: l’amuchina e l’alcool, su tutti. L’appello a lavarsi spesso le mani ha spinto tanti a fare man bassa di questi e così sono forse gli unici prodotti realmente introvabili. Un altro sistema per allontanare da se quella angoscia per un nemico che non si conosce fino in fondo. Un timore che cresce con l’incremento di casi di contagio anche in questa parte della Lombardia: un bollettino – come la divisione in zone, gli acquisti massivi di viveri e il traffico limitato – che ricorda appunto la guerra. Come dicevamo invisibile. Apparentemente però a regnare su tutto resta quell’ordinata e capillare precisione che differenzia una società civile dalle barbarie. Il rigido rispetto delle regole imposte dalla autorità nazionali e locali che, seppur non accettate da molti, vengono seguite alla lettera. La scelta sicuramente più razionale contro quella – umanamente giustificabile, ma forse irresponsabile – di scappare ed andare via da un territorio che sembra sempre più isolato dal mondo. Con la certezza che alla fine tutto finirà nel verso giusto. Le centinaia di post it «Andrà tutto bene» apparsi sulle vetrine del centro di Lecco ne sono la testimonianza vivente. Forse la più sincera. (r.desanto@corrierecal.it)

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