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Chi prova a eludere le ordinanze e chi viene scambiato per infetto: effetti collaterali del Coronavirus

Universitari che spezzano il viaggio per risparmiarsi la quarantena e una visita in ospedale per delle informazioni che si trasforma in una scena da film: storie poco ordinarie attorno al Covid-19

Pubblicato il: 09/03/2020 – 19:47
Chi prova a eludere le ordinanze e chi viene scambiato per infetto: effetti collaterali del Coronavirus

CORIGLIANO ROSSANO Tra vie e piazze semivuote, mentre si inizia a intravedere più qualcuno con le mascherine in giro, in tempi di coronavirus, ecco spuntare – e non poteva essere altrimenti – gli incoscienti.
Ovvero quegli studenti fuori sede che pensando di essere più furbi degli altri, provano a farla franca. L’obiettivo è eludere le ordinanze restrittive emesse dalla Regione e dal Comune per chi raggiunge Corigliano Rossano – ma potrebbe essere “prassi” diffusa un po’ in tutta la Calabria – dalla cosiddetta zona rossa e quindi evitare la quarantena.
Le “dritte” per aggirare i provvedimenti sembrano, in fondo, abbastanza semplici: con una più che valida scusa, dalla Lombardia si raggiungono in prima battuta città “non sospette”, come Firenze, Roma, Napoli, per poi ripartire alla volta di Corigliano Rossano con un pullman, così da non dover comunicare spostamenti e cadere nella “trappola” della quarantena. Ed il raggiro sembra anche essere riuscito a qualcuno.
Proprio nelle scorse ore la presidente della Regione, Jole Santelli, ha riferendo di circa 80 pullman giornalieri in arrivo in Calabria. Di questi, quelli che raggiungono la Sibaritide sono circa una quindicina, più la Frecciargento.
E quello di voler provare a sottrarsi ai quattordici giorni quarantena può essere annoverato fra i gesti assolutamente irresponsabili, ma insiti nella “meglio gioventù” che crede di essere invincibile ed invece potrebbe fungere da vettore per il Covid-19 verso i parenti più anziani.
«SONO STATA TRATTATA COME UN’APPESTATA» Singolare e da film, frattanto, la storia vissuta all’ospedale di Rossano dalla signora Giovanna Piacentino.
Recatasi al “Giannettasio” prima in mattinata e poi nel pomeriggio per capire come comportarsi per alcuni esami utili a diagnosticare patologie per un parente che nulla hanno a che vedere col coronavirus, viene fermata da alcuni volontari presso la tenda pre-triage, allestita nei giorni scorsi fuori dal pronto soccorso.
Arrivata per la seconda volta in giornata nei pressi del pronto soccorso, un volontario invita la signora Piacentino a passare dal “filtro” per un controllo, prima di entrare in reparto. Ed è li che inizia il balletto delle temperature. «La prima misurazione segnalava 38,2 – racconta – e quando ho iniziato a dire che mi sentivo bene ma che probabilmente ero solo accaldata per la fretta e la preoccupazione, hanno rimisurato la temperatura, anche con altri termometri digitali che segnalavano risultati diversi fra 36,5 e 37. Un medico di guardia, allertato dai volontari, entrato in tenda senza alcuna protezione, ha rimisurato la temperatura. Spiego al medico di essere andata di corsa, ma complice una telefonata con un cugino che vive a Firenze, i volontari hanno pensato che avessi avuto contatti con gente che proviene dalle zone pericolose. A quel punto – prosegue – decidono di rilevare la frequenza cardiaca che risulta essere nella norma. Subito dopo mi invitano a tornare a casa ed a rimanere in quarantena, con modi oltremodo sgarbati, solo per aver inconsapevolmente provato ad entrare in pronto soccorso per chiedere informazioni a qualche conoscente. Sono stata trattata come un’appestata e non lo sono».
Tornata a casa Giovanna rimisura la temperatura, che è nella norma, e la misura ai figli. «Mi hanno fatto preoccupare senza motivo – è l’amara considerazione sull’episodio – ed a dirla tutta non mi sembra che quei volontari fossero pronti a gestire un’emergenza, considerando anche che solo uno di loro indossava le protezioni». (l.latella@corrierecal.it)
 

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