https://www.youtube.com/watch?v=UlXk2-OYUoQ&feature=youtu.be
LAMEZIA TERME «Noi non abbiamo i tamponi, non abbiamo i presìdi di protezione, non abbiamo le stanze a pressione negativa. Non siamo preparati per il Coronavirus». Le voci raccolte nell’ospedale di Locri da Michele Macrì (con il supporto tecnico di Cosimo Siciliano) sono preoccupanti. E sono una ragione in più per rispettare le prescrizioni del governo e gli appelli che arrivano da più parti a restare a casa ed evitare assembramenti.
Nella sanità distrutta da un decennio di tagli (provocati, a loro volta, da anni in cui la salute pubblica era una mangiatoia), basta poco per provocare il panico, specie se i malati arrivano in ospedali già in affanno, nei quali mantenere le misure di sicurezza può diventare complicato. Hanno paura anche i sanitari. Che segnalano da giorni, attraverso i sindacati, la mancanza di equipaggiamento. «Affrontiamo l’emergenza “a mani nude”», dicono.
E, nelle immagini proposte dal Corriere della Calabria, questa sensazione si ricava nettamente. Sempre a Locri, davanti all’ospedale è stata allestita una delle tante tende disposte per il pre-triage. Peccato che – a Locri come altrove – sia vuota. «La tenda ce l’abbiamo ma manca il personale. Siamo tre: se andiamo fuori non possiamo più entrare per non rischiare di passare il virus ad altri pazienti e colleghi». Questo lo stato dell’arte nella Locride. Lì, come altrove, i medici sono sottoposti a turni massacranti di lavoro. Forse in Calabria più pesanti che altrove, viste le carenze certificate negli organici.
SENZA PERSONALE: MENO 3.300 UNITÀ Il personale è ridotto all’osso. I numeri sono ufficiali e certificati proprio da qualche giorno. Da quando, cioè, il commissario al Piano di rientro, ha approvato il Piano operativo 2019-2021. Lasciamo parlare il documento: «Dall’avvio del Piano di Rientro della Regione Calabria, il numero del personale del Servizio sanitario regionale si è ridotto di 3.343 unità pari a circa -2 % del personale. Nell’ultimo triennio, il personale del sistema sanitario regionale si è ridotto di circa 643». L’eterno scontro tra il diritto alla salute e il calcolo ragionieristico. E alla fine pagano i cittadini. Pagano per il personale falcidiato, i tagli lineari e gli anni di vacche grasse, quando per certificare il costo di un’apparecchiatura medica bastava il parere del venditore. E dispositivi da 100 euro venivano acquistati al costo di 3mila.
Per Cittadinanzattiva, l’organico medico in Calabria conta su circa 3.500 unità a fronte di un fabbisogno di circa 4.800. Per l’Anaao-Assomed, «il Coronavirus rischia di avere un impatto deflagrante in Molise, Lazio, Campania, Calabria, Sicilia». L’associazione sottolinea il dato calabrese: «I posti letto sono 2 per mille abitanti contro il 3,2 per mille dello standard. Dobbiamo davvero augurarci che il virus non ci arrivi perché capacità di risposta è assai più bassa che Nord».
LA TERAPIA INTENSIVA I numeri appaiono deficitari. Ancora Cittadinanzattiva: «La situazione così com’è in Calabria non ci fa stare tranquilli: disponiamo di 80 posti letto in Malattie infettive, 107 in Rianimazione, 68 in Pneumologia e solo 20 in Isolamento respiratorio a pressione negativa». Nei giorni scorsi, la presidente della giunta regionale Jole Santelli ha chiesto l’attivazione di nuovi posti in Terapia intensiva, Malattie infettive e Pneumologia. Poi, in una intervista a Coffee Break, programma de La7, ha rilanciato i dubbi sulle capacità di una sanità allo stremo di resistere davanti a una proliferazione di contagi. Ricordando infine, che le postazioni di Terapia intensiva sono già occupate da pazienti “ordinari”. Dunque serve più che mai un intervento preventivo.
Nella perenne oscillazione tra paura e rassicurazione, anche il presidente dell’Ordine dei medici di Cosenza ha chiesto nei giorni scorsi un intervento del ministero della Salute. «Moltissimi nostri iscritti – scrive Eugenio Corcioni – operanti nelle strutture sanitarie della nostra provincia lamentano l’assenza di mascherine idonee, tute, visiere». A mani nude, appunto. (ppp)
x
x