di Giorgio Curcio
LAMEZIA TERME Sta per concludersi la prima settimana segnata dalla lotta alla diffusione del coronavirus, resa più dura e serrata da lunedì sera, con il Dpcm firmato dal premier Conte. Per alcuni lavoratori questi ultimi giorni sono stati più convulsi che mai come quelli dei call center calabresi, decine (centinaia) di impiegati in tutta la regione che da giorni si trovano in una sorta di limbo, sospinti dalla necessità di lavorare per guadagnare, consapevoli dei rischi che si corrono in tempi di allarme da contagio e Dpcm da rispettare. Non a caso proprio in questa settimana numerosi sindaci si sono mossi in questo senso, diffidando le aziende che operano sui territori: è successo a Rende, a Montalto, a Reggio Calabria, Catanzaro e anche a Lamezia Terme.
IL CASO In molti casi il destinatario della diffida è una sola azienda, la Abramo Customer Care che ha sedi proprio nel capoluogo, a Lamezia e a Montalto (qui la notizia). Ebbene, nonostante gli appelli e le preoccupazioni sollevate l’azienda ha deciso di andare avanti, seguendo un percorso preciso ma che pare non accontentare tutti. Pochissimi giorni fa, infatti, la società attraverso un documento interno aveva imposto le ferie ai propri dipendenti almeno fino al prossimo 25 marzo salvo cambiare idea poche ore dopo: un solo giorno di ferie per tutti (il 13 marzo) e poi di nuovo al lavoro. Il tempo necessario, insomma, per cercare in fretta di sanificare gli ambienti di lavoro e predisporre le misure di sicurezza che in tempi di coronavirus si devono rispettare, a cominciare dalla distanza da tenere tra un operatore e l’altro.
LE PREOCCUPAZIONI Eppure i dubbi e le perplessità ancora permangono, soprattutto fra i lavoratori dei call center di Lamezia e Catanzaro: «Rispetto a due giorni fa – raccontano – non è cambiato nulla. Notiamo solo qualche piccolo miglioramento ma non ci sentiamo affatto sicuri. Ci hanno parlato della possibilità di lavorare da casa ma ancora non sappiamo nulla». C’è poi chi ha deciso di non presentarsi a lavoro sfruttando ferie e permessi arretrati per rimanere a casa. Tutto sospeso fino al prossimo 3 aprile, invece, per gli stagisti così come imposto dalla Regione Calabria.
LA RISPOSTA A chiarire alcuni punti ci ha provato proprio l’azienda attraverso un comunicato stampa: «Teniamo a sottolineare due aspetti fondamentali – scrive l’azienda – su cui ci stiamo concentrando: la salute dei lavoratori e la possibilità del lavoro a distanza, il lavoro agile. Sul primo fronte sono state prese e comunicate misure inerenti la distanza di sicurezza minima tra i lavoratori, l’igiene degli ambienti e degli individui e la disponibilità dell’azienda nel venire incontro alle esigenze personali. Sul tema lavoro agile – scrivono ancora – è stato distribuito un questionario che rileva la possibilità “tecnica” per il dipendente di lavorare da casa a fronte di una mappatura interna dei lavori che sono “remotizzabili” per loro natura. Allo stesso tempo sono stati avviati gruppi di lavoro con i clienti per definire la fattibilità e le eventuali precauzioni in termini di rispetto della privacy e del GDPR. A breve partiranno quindi le prime attività realizzate in Smart Working». L’azienda poi punta il dito contro chi, in questi giorni, ha messo in dubbio il suo operato: «Il gruppo Abramo ritiene di agire nel tentativo di conciliare il diritto alla salute di tutti i suoi collaboratori con la continuità aziendale già fortemente messa alla prova da eventi di mercato che hanno impattato e stanno impattando negativamente sui risultati aziendali. Crediamo quindi che dichiarazioni poco circonstanziate, che non tengano conto del reale sforzo profuso dall’organizzazione per reagire all’attuale calamità sanitaria, possano ulteriormente indebolire la capacità di assicurare un futuro lavorativo a migliaia di lavoratori e famiglie del sud Italia».
LAVORO E SICUREZZA Sicurezza sul lavoro e livelli occupazionali, coronavirus e crisi del mercato: variabili poco rassicuranti, fattori di rischio che impongono a centinaia di lavoratori scelte spesso anche sofferte. Il rischio concreto è che a rimetterci – come accade in questi casi ed è già accaduto in passato – siano sempre i lavoratori, giovani, neolaureati ma anche padri e madri di famiglia troppo spesso dimenticati. (redazione@corrierecal.it)
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