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Perché la crisi Coronavirus può essere sfruttata dalla ‘ndrangheta

Uno studio di Unimpresa mette in guardia: «Le piccole e medie imprese in crisi diventerebbero un affare per le mafie. «Danni su 150 miliardi di euro di Pil»

Pubblicato il: 15/03/2020 – 14:55
Perché la crisi Coronavirus può essere sfruttata dalla ‘ndrangheta

ROMA Piccole e medie imprese a prezzi di saldo saranno un potenziale affare per la criminalità organizzata. La denuncia è contenuta in un repot di Unimpresa, secondo cui l’emergenza causata dal Coronavirus corre il rischio di spalancare le porte a Camorra, Mafia e ‘Ndrangheta. «Sempre pronti ad approfittare delle crisi economico-finanziarie, i vertici delle organizzazioni criminali, che dispongono di ingenti capitali, si preparano a speculare sulle inevitabili crisi a cui andranno incontro decine di migliaia di attività imprenditoriali su tutto il territorio nazionale», denuncia l’associazione imprenditoriale. Ristorazione, comparto alberghiero, commercio e piccole fabbriche sono i settori destinati a subire le ripercussioni più rilevanti dalla crisi causata dalla pandemia legata al virus Covid-19. Secondo l’analisi del Centro studi di Unimpresa, gli effetti del Coronavirus possono creare danni su 150 miliardi di euro di prodotto interno lordo ovvero quasi il 10% dell’economia italiana: si tratta di 64 miliardi del settore alberghiero e ristorazione, 53 miliardi del trasporto, oltre 8 miliardi del comparto noleggio e leasing, 2 miliardi riferibili alle agenzie di viaggio e ai tour operator, quasi 11 miliardi riconducibili a musei, cinema e teatri, oltre 7 miliardi del settore sport e tempo libero. In tre mesi possono subire ripercussioni enormi 45 miliardi e i settori piu’ a rischio vanno dal turismo ai trasporti, dagli spettacoli allo sport. Le ricadute sono in alcuni casi dirette e in altri si tratta di ricadute “a cascata” non soltanto nelle regioni e nelle province della cosiddetta “zona rossa”, ma su tutti il territorio nazionale.
Lo studio dell’associazione, che ha elaborato i dati Istat integrandoli con alcune stime, avverte che il Coronavirus può avere ricadute – dirette o indirette – su 146,1 miliardi (dati riferiti al 2019) che corrispondo al 9,12% del Pil italiano. 
Nel dettaglio, si tratta di 64 miliardi del settore alberghiero e della ristorazione, di 53 miliardi delle imprese di trasporto, di 8,1 miliardi dell’area noleggio e leasing, di 2 miliardi “fatturati” da agenzie di viaggio e tour operator, di 10,8 miliardi dello spettacolo (musei, cinema e teatri), di 7,6 miliardi del comparto sport e tempo libero. 
In particolare, il settore dei trasporti comprende 47,2 miliardi di autobus e vetture, 3,9 miliardi di navi e traghetti, 2,1 miliardi delle compagnie aeree. Il recinto economico a rischio “Coronavirus” e’ un mix di settori di attività che, in totale, sono costantemente cresciuti negli ultimi anni: nel 2019, il totale si e’ attestato a 146,1 miliardi (9,12% del pil), nel 2015 era a quota 128,6 miliardi (8,65% del pil), nel 2016 a 135,2 miliardi (8,88% del pil), nel 2017 a 140,4 miliardi (9,01% del pil), nel 2018 a 143,5 miliardi (9,06% del pil). Dal 2015 al 2019, il “fatturato” delle imprese del turismo, dei trasporti e dello spettacolo e’ cresciuto di 17,5 miliardi. «Le imprese italiane vanno sostenute immediatamente, bisogna evitare soprattutto che manchino risorse per pagare stipendi, forniture e pure le tasse. Quello degli adempimenti fiscali, in particolare, è un tema fondamentale: il governo si è giustamente preoccupato di rinviare scadenze e accertamenti tributari, ma non basta. Cosa succederà dopo, quando si accumuleranno pagamenti uno dietro l’altro? La prospettiva è devastante. I fatturati risentiranno inevitabilmente degli effetti della pandemia. Bisogna assicurare, quindi, la massima liquidità per evitare che gli imprenditori finiscano in ginocchio, strozzati da debiti di varia natura e si arrendano, svendendo le loro attività alle organizzazioni criminali», conclude il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.

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